Non sono giorni facili per Maurizio Landini. Per carità, lui ci aveva visto giusto. Da tre anni ha lasciato perdere la difesa dei lavoratori e ha puntato dritto contro il governo. Scioperi antifascisti, piazzate per contestare la riforma della giustizia, manifestazioni contro il premierato, adunate per denunciare i pericoli dell’autonomia differenziata e alzate di scudi sul salario minimo. Tutto fuorché occuparsi della contrattazione, della produttività e di quelle buste paga a 5/6 euro l’ora firmate anche dal suo sindacato. Ma vabbè, le priorità sono priorità. E di fronte ad una sinistra allo sbaraglio, il segretario della Cgil ha fiutato la possibilità, non peregrina, di tentare la scalata, solleticando l’elettorato con una decisa sterzata politica delle iniziative sindacali. Dopo un paio di anni di lotta antigovernativa, che gli è pure costata l’unità sindacale della triplice, l’ex leader della Fiom, con il pedigree perfetto per condurre la battaglia, ha deciso di lanciare la “rivolta sociale”.
Idea rischiosa, barricadera, un po’ vintage, ma in fondo azzeccata. Tant’è che alla fine, batti e ribatti, a forza di balle e mistificazioni, la rivolta è arrivata davvero. E, come aveva ben intuito, la sinistra è stata costretta all’inseguimento. Peccato che, piccolo problema, non è lui a guidare il carro. La beffa è che a condurre le danze non è la potente e strutturata Cisl, ormai incamminata sulla strada del pragmatismo e del buon senso, né i fedeli alleati della Uil, anche loro un po’ insofferenti della deriva movimentista della Cgil, bensì l’Usb (Unione sindacati di base), una piccola ma combattiva sigla aderente ai Cobas che la maggior parte degli italiani fino a qualche giorno fa pensava fosse qualcosa che avesse a che fare con le chiavette per i dati o le prese per caricare il telefono.
Intendiamoci, non che Landini non ci abbia provato. Accanto alle “battaglie sindacali” contro le riforme, il segretario della Cgil da un po’ aveva ovviamente preso a cuore anche la questione palestinese. Nessun “buono”, del resto, può essere insensibile a ciò che sta avvenendo nella striscia di Gaza. E la vecchia volpe di Landini aveva fiutato per tempo quale fosse il nuovo terreno di azione, dichiarando la propria vicinanza ai movimenti Propal e riempiendo di bandiere palestinesi i suoi cortei. Per non restare fuori dalla partita, con le navi della Flotilla già in acque internazionali e la tensione sempre più alta, il leader del sindacato rosso ha pure proclamato un bello sciopero pro-Gaza lo scorso venerdì. Un mezzo flop. Niente in confronto a quello sfoderato lunedì dall’Usb, che non solo ha paralizzato mezza Italia, ma ha anche tirato fuori dal cilindro diversi episodi di robusta guerriglia urbana, che nell’ambiente valgono più di una medaglia.
La tempistica, va detto, non ha giocato a favore di Landini. Per fare casino e finire sui giornali, in Italia devi bloccare i trasporti. Ma avendo la Cgil firmato da pochissimo il rinnovo dei contratti perla mobilità ferroviaria e del trasporto pubblico locale, vaglielo a spiegare ai lavoratori che bisogna di nuovo incrociare le braccia non per lo stipendio o i turni, bensì contro Israele. Strada spianata invece per l’Usb, che quell’accordo non lo ha firmato, per giunta accusando i confederali di complicità coi padroni.
Risultato: dopo il Paese in tilt e le 70 piazze infuocate di lunedì uno dei capi (neanche hanno ancora un leader unico) della sigla, Guido Lutrario, ha subito fatto capire che aria tira: «Cgil, Cisl e Uil hanno tradito la loro funzione originaria. Noi stiamo ricostruendo il sindacato italiano partendo dai lavoratori». E ieri, tanto per ribadire chi è ora che comanda, l’Usb ha proclamato «lo stato di agitazione permanente, l’occupazione di cento piazze per Gaza» e una manifestazione nazionale a Roma per il 4 ottobre. Anche Landini, manco a dirlo, ha minacciato uno sciopero generale in difesa della Flotilla, però i riflettori sono ormai puntati altrove. Come diceva Pietro Nenni, c’è sempre «un puro più puro che ti epura». Ma la vera lezione che il leader della Cgil non ha tenuto a mente è quella del vecchio radical -socialista Renè Renault: «Pas d’ennemie à gauche». Con buona pace del codice della strada, mai farsi superare a sinistra.