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L'eredità di Berlusconi e la rotta da seguire nel nuovo mondo

di Mario Sechi lunedì 29 settembre 2025

4' di lettura

Forza Italia è un partito di centro, deve espandere la sua base elettorale e deve farlo in maniera diversa rispetto a Fratelli d’Italia e alla Lega, altrimenti non avrebbe una missione. Diverso non significa essere alternativo e esclusivo, ma essere complementare, allarghi l’offerta politica e non la distruggi, le coalizioni funzionano così. La presentazione di un nuovo manifesto politico di Forza Italia ha lo scopo di offrire una mappa e una bussola a chi naviga nel mare in tempesta della contemporaneità.
Libero lo aveva anticipato settimane fa in un’intervista con Antonio Tajani, si tratta di un passaggio importante per qualsiasi partito.

Ieri a Telese l’ho commentato con Paolo del Debbio, Andrea Orsini e Pupi Avati, e parlando con i militanti ho avuto l’ulteriore conferma che Forza Italia dopo 30 anni rappresenta un caso doppiamente unico: 1. Nasce come partito carismatico, si presenta come il veicolo di un outsider del sistema, vince le elezioni, va al governo e ridefinisce lo spazio politico, anche quello degli avversari. Berlusconi con Forza Italia anticipa di 30 anni quella che sarà poi una tendenza delle democrazie (l’uomo d’impresa che si cimenta nell’impresa politica); 2. Il partito carismatico plasma lo scenario, il suo destino è quello del fondatore, ma con la sua scomparsa, contro tutte le previsioni degli “esperti”, non collassa e si trasforma in una comunità politica competitiva che ne prosegue il lavoro e mantiene un solido rapporto con la famiglia che ne custodisce la memoria.

Non era scontato, nessuno avrebbe scommesso sulla sopravvivenza di Forza Italia dopo la formidabile cavalcata e scomparsa di Berlusconi, ma questa è la prova che il Cavaliere nell’esercizio della sua “monarchia anarchica” - aveva fiuto nello scegliere la classe dirigente. Lo annoiava il politicante, ma lo accendeva l’intelligenza irregolare, e poi sapeva meglio di tutti che anche in politica è necessario quello che fa «una vita da mediano / a recuperar palloni / nato senza i piedi buoni / lavorare sui polmoni», la figura che corre, sta a centrocampo e porta la palla per tutti. Guidati da Antonio Tajani, sono arrivati fino a qui e per primi si pongono il problema di come innovare, aprire, potenziare la democrazia interna, costruire i leader di domani.

LA ROTTA

Qual è la rotta? Bisogna come sempre guardare alla storia. Quando Silvio Berlusconi 31 anni fa annunciò «la discesa in campo», il Novecento, il «secolo breve» che aveva fatto tremare la terra con due conflitti mondiali, stava tramontando. Il capitalismo e le democrazie avevano vinto la Guerra Fredda, nel 1989 era crollato il Muro di Berlino, nel 1991 si era dissolta l’Unione Sovietica. Si stava per chiudere la fase della prima globalizzazione guidata da Margaret Thatcher (a Downing Street dal 1979 al 1990) e Ronald Reagan (alla Casa Bianca dal 1981 al 1989); mentre una seconda globalizzazione era decollata con Bill Clinton (alla Casa Bianca dal 1993 al 2001) e Tony Blair (a Downing Street dal 1997 al 2007). Forza Italia arrivò tra una fine e un nuovo inizio con Berlusconi e il manifesto della sua “rivoluzione liberale”, proprio mentre l’internazionale della sinistra parlava di «terza via» e delocalizzava il lavoro dall’Occidente a Oriente, fino ad aprire nel 2001 le porte del Wto (l’Organizzazione mondiale del commercio) alla Cina, la mossa che ha sconvolto i rapporti di forza tra le grandi potenze.

Trent’anni dopo, il mondo è in una fase di incredibile accelerazione, siamo di fronte al fenomeno che il compagno Lenin descrisse con grande efficacia: «Ci sono decenni in cui non succede nulla e ci sono settimane in cui accaLa prima pagina di Libero del 31 luglio scorso con l’intervista al leader di Forza Italia, Antonio Tajani dono decenni». E cito Lenin non a caso, perché un manifesto chiama in causa la politica culturale, le idee che diventano discorso e azione.

Sarò netto: comanda ancora la sinistra. Nell’organizzazione del consenso - nella comunicazione istituzionale, nel giornalismo, nella cultura - i progressisti dominano e applicano una dottrina leninista che non incontra nessun ostacolo. Non è un problema di talento a destra - c’è in abbondanza e di gran lunga più creativo che a sinistra - ma di «microfono», se non ce l’hai non ci sei. Se il mezzo è il messaggio, allora senza mezzo non sei. È un punto delicato, che non si risolve con il manifesto, quello è la premessa necessaria. Nel mondo nuovo, quello vecchio è un dinosauro che strappa la carne a tutto quello che incontra. La crisi spaventosa della sinistra, la bancarotta dei progressisti, ha portato alla trasformazione del comunismo in un’eruzione di non-sense, farneticazioni, cospirazionismo, fusione e soprattutto confusione che va dal woke all’ecologismo fino all’ultimo approdo: la costa di Gaza, il pro-Pal utile idiota di Hamas. L’intolleranza e la violenza sono il tratto di queste schegge impazzite, residuati bellici del Novecento.

NO A ZONE FRANCHE

Si possono tollerare gli intolleranti senza limiti? Vanno ricordate loro - e applicate - le leggi dello Stato, a cui tutti dobbiamo obbedire. Non esistono zone franche. Ecco perché bisogna occuparsi degli intolleranti, perché altrimenti saranno gli intolleranti a occuparsi di noi. Il manifesto, ieri e oggi, è un punto di passaggio, la boa di un periodo storico. Trent’anni prima, Forza Italia impedì il paradosso dei comunisti sepolti dalle macerie del Muro di Berlino che pensavano di vincere le elezioni grazie alla rivoluzione giudiziaria. Trent’anni dopo, siamo al punto di partenza, gli eredi di Berlusconi, il centrodestra, deve impedire alla post-sinistra imbarcata nella “Flotilla” di organizzare il caos contro l’Italia della vera rivoluzione in corso, quella pacifica e conservatrice.

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