Cosa ci faceva Antonio Decaro in piazza a Bari confuso tra migliaia di persone che inneggiavano alla distruzione di Israele? Il finto tonto? L’antisemita? Il cercatore di voti a qualsiasi costo? Il sincero democratico di questi tempi difficili e confondenti? Oppure un insieme di tutte queste cose, condite dalla sua specialità: essere nel posto sbagliato nel momento sbagliato, come quando si è trovato accanto a Michele Emiliano sul palco, con questo che spiegava come l’aveva raccomandato alla sorella del boss di Bari, spiegandole che si trattava di un bravo ragazzo che non andava toccato e che lui, quella donna, neppure sapeva chi fosse.
Allora Decaro se l’è cavata scaricando tutto sul governatore al quale ora vuole succedere. Oggi, il candidato del campo largo non può continuare a fare lo gnorri, contando sulla stampa amica e sperando che vada tutto in cavalleria. Benché dimesso al punto da sembrare un passante e non il candidato presidente e biascicando anziché intonando, l’europarlamentare dem di ritorno cantava nel coro «Bari lo sa da che parte stare: Palestina libera, dal fiume fino al mare...». È l’inno di Hamas, che la sinistra pacifista ha trasformato nella propria colonna sonora, che si propone la cancellazione totale dello Stato di Israele dalla mappa geografica. Un cantico dello sterminio che fa specie in bocca a uno che si è candidato scoppiando a piangere dall’emozione nel ricordare un amico scomparso, tanto è sensibile.
I casi sono due: o Decaro non sa cosa significhi quell’inno, e lo ripeteva meccanicamente, perché così facevano tutti i suoi sostenitori in piazza, oppure lo sapeva benissimo e non si è sottratto, per non irritare i potenziali elettori, facendo tesoro della disavventura occorsa al sindaco di Reggio Emilia, insultato dalla folla e umiliato da Francesca Albanese, la responsabile per la Palestina alle Nazioni Unite, che stava premiando, per essersi augurato che, con lo stermino di Gaza finisse anche la prigionia degli ostaggi israeliani tuttora nelle mani dei terroristi. Entrambi i casi non ci vanno bene. Il primo perché l’ignoranza sarebbe indegna tanto di un europarlamentare quanto di un governatore. Peraltro, aggravata dal fatto che è stato lui a postare sui propri social il coretto e non è encomiabile che uno faccia campagna elettorale ignorando il senso delle parole che pronuncia. Se davvero, a due anni dal pogrom del 7 ottobre, Decaro non sapeva quel che diceva, dovrebbe dimettersi da Bruxelles, ma per non candidarsi in Puglia. Se viceversa lo sapeva, allora è complice di antisemitismo e condivide, con buona parte del partito al quale appartiene, la responsabilità di farsi condurre a guinzaglio in politica estera dalla piazza estremista anziché depotenziarla, farla ragionare indirizzarla, guidarla con sensatezza.
Il Pd, partito governista per autoinvestitura, si è trasformato in un’associazione che insegue gli scalmanati e si fa dettare da questi la linea. A proposito di Gaza e dem, impossibile non registrare l’ultima peripezia del mancato governatore delle Marche, Matteo Ricci. L’uomo che voleva cambiare la sua regione, dopo la disfatta, ha impiegato meno di una settimana per fare le valigie e lasciare i corregionali che avevano creduto in lui al loro destino. Resterà a Bruxelles, dove guadagna di più, può avvalersi di eventuali immunità parlamentari per le inchieste che incombono sulla sua testa e potrà tornare ad avvolgersi in bandiere palestinesi e fare il tifoso gazista senza che nessuno gli chieda che c’entri questo con Macerata, Marotta, Fabriano, il tartufo bianco, il ciauscolo, Leopardi o le Grotte di Frasassi. Fiume o mare, i candidati del Pd fanno sempre acqua.