L’impreparazione della sinistra di fronte al fenomeno Meloni viene regolarmente confermata quando la premier va in Parlamento e si apre il dibattito sulle sue comunicazioni. È in quella sede che emerge “Giorgia” e si autoaffonda l’opposizione. La prima debolezza sta nel non aver capito (dopo tre anni) come funziona la macchina narrativa di Meloni: ogni intervento è preparato con minuzia, i temi sono selezionati e concatenati secondo una precisa grammatica interna, una successione di fatti che conduce alla chiusura finale.
Ieri Meloni è partita dai giudizi positivi delle agenzie di rating e del fondo monetario internazionale, dal varo della legge di bilancio, elementi che sono l’idea della “concretezza”; poi ha parlato dello guerre in Ucraina e in Medio Oriente; ha posto l’accento sul ruolo dell’Italia in Europa; ha demolito il Green Deal; ha fissato una data per il “Piano Casa” e ha ribadito la linea ferma sull’immigrazione. C’è la contemporaneità, sono esposte le “policy” dell’esecutivo e il tono è istituzionale. Il rullo di tamburi di Giorgia arriva dopo, quando l’opposizione fa le sue dichiarazioni e la premier prende nota. È qui che la sinistra viene infilzata in contropiede: Meloni cambia registro, diventa premier, leader di partito e guida del centrodestra.
È a quel punto che Schlein, Conte, Bonelli, Fratoianni e compagnia di giro rivelano la loro mediocrità. Le tesi dell’opposizione vengono demolite una a una, per ogni singolo tema c’è una “minuta” pronta che la premier sfodera nella replica. C’è politica, arte retorica, efficacia del racconto, leadership. La sinistra s’ammoscia in diretta, in Parlamento.