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Ernesto Maria Ruffini: "Questo campo largo è il de profundis di Pd e centrosinistra"

di Elisa Calessi martedì 11 novembre 2025

4' di lettura

Non vuole essere confuso con quelli - sempre di più - che puntano a fare il centro del centrosinistra. «Un partito di centro con una funzione servile al Pd non ha senso», dice Ernesto Ruffini. Ex direttore dell’Agenzia delle Entrate, da un anno ha lasciato il suo lavoro per dedicarsi a creare dei comitati di cittadini, stile Ulivo, in giro per il Paese. Ora sono più di 300, in 76 province e sono presenti in tutte le regioni. Sabato riunisce i responsabili organizzativi. Si era parlato di lui come possibile federatore del centrosinistra. La cosa certa è che Romano Prodi lo sente spesso e lo stima.

A cosa punta? Fare un partito, candidarsi in eventuali primarie di coalizione, unirsi a Matteo Renzi e ai sindaci per fare un partito di centro nel centrosinistra?
«Non si può partire dalla fine. Il progetto per ora è di stimolare la partecipazione delle persone, senza chiedere permesso a nessuno, rifacendoci a quella che è stata la stagione dell’Ulivo. Allora i partiti capirono di non bastare più e partì un processo di allargamento, per coinvolgere cittadini che i partiti allora esistenti non riuscivano più a intercettare. E parliamo di una stagione in cui l’astensione non era ai livelli attuali».

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I partiti esistenti del centrosinistra non bastano?
«Pensare che i partiti attuali possano essere autosufficienti nel portare le persone che non lo fanno a interessarsi alla politica, al progetto del Paese, è ingenuo. L’obiettivo è costruire un’alternativa e una comunità, altrimenti crei solo gruppi di tifosi».

Mi pare di capire che l’attuale campo largo non la convince. Perché?
«Il campo largo è il De profundis del centrosinistra e del Pd, perché ha una vocazione minoritaria. L’ispirazione dell’Ulivo non era questa. Si è autoimposto confini che coincidono con i partiti esistenti e con i volti degli attuali protagonisti. Ma al di fuori di questo campo ce n’è uno di pari dimensioni. Io lo chiamo “campo aperto”. È quello di chi non va a votare: un campo che il centrosinistra attuale non intercetta. Il fatto che con il campo largo si sia raggiunto il 55% di astensionismo è fallimentare».

Ma come si fa a pescare in quello che lei chiama “campo aperto”?
«Come si fece con l’Ulivo: favorendo la partecipazione, la discussione, il confronto.
La classe dirigente di allora capì, con lungimiranza, che i partiti non erano in grado di parlare a tutti».

La classe dirigente attuale pensa che, proprio perché vanno a votare in pochi, per vincere sia conveniente portare al voto i “propri” elettori e quindi radicalizzare la proposta.
«Vuol dire arrendersi allo stato dei fatti. Ma fare politica non vuole amministrare il presente. Oltretutto radicalizzare la proposta, raccogliere una tifoseria, contrapponendola a un’altra, distrugge il Paese. Oltre al fatto che fa vincere la destra, che è più brava a radicalizzare, non costruisce il Paese, non crea una comunità. Non è la comunità del Pd che bisogna costruire, ma quella dell’Italia».

Ai tempi dell’Ulivo, però, c’era Romano Prodi che riuscì a essere un collante. Oggi chi può ricoprire lo stesso compito?
«Non si può partire dalla fine. Anche ai tempi dell’Ulivo si cominciò dai comitati, dal confronto tra cittadini. Il leader si trova strada facendo. Ma la strada non può essere quella di un partito che parla solo nei propri circoli, nei propri convegni. Le proposte non si possono elaborare al chiuso del proprio partito. È un lavoro lento. Ma non c’è altra strada».

Matteo Renzi, Alessandro Onorato, alcuni sindaci stanno cercando di costruire un soggetto di centro alleato del Pd. La convince?
«No. La sinistra non può delegare a un soggetto esterno il compito di fare il centro, di rappresentare il riformismo. Se la bandiera del centrosinistra viene affidata ad altri, è la fine».

Ma se il Pd, come sembra, vuole essere un partito nettamente di sinistra?
«Se il Pd smette di essere quello per cui è nato, allora vorrà dire che ci sarà qualcun altro che lo fa. Ma in competizione con il Pd, non in funzione servile. Quello che per me è chiaro è che serve un partito di maggioranza, all’interno della coalizione, che recuperi l’ispirazione dell’Ulivo».

Goffredo Bettini, Dario Franceschini dicono che c’è bisogno di una gamba moderata nel centrosinistra. Non è d’accordo?
«Il gruppo dirigente di un partito non può ispirare la nascita di un altro partito. Se la finalità è di creare, nello stesso campo ma in funzione servente, un partito alleato, non ha senso».

Elly Schlein è adatta a fare il candidato premier di tutto il centrosinistra?
«Il problema non è un candidato, ma un programma credibile. Nel 2022 il centrosinistra non ha perso perché non aveva un candidato credibile, ma perché non aveva un programma credibile».

In molti guardano a Silvia Salis, come a una possibile anti-Meloni.
«Si è conquistata l’amministrazione di una città, penso sia impegnata a farlo bene».

In questi giorni nel Pd hanno rilanciato l’idea di una patrimoniale. Lei che è stato direttore dell’Agenzia delle Entrate, cosa ne pensa?
«Di fronte a situazioni economiche eccezionali si possono immaginare misure eccezionali. Ma, anche qui, si guarda il dito e non la luna. Un Paese in cui il ceto medio è tassato con la stessa aliquota dei milionari non è un Paese giusto».

Si sente spesso con Prodi?
«Tutti quelli che si riconoscono nel centrosinistra, non possono non ascoltare con attenzione quello che dice Prodi».

In caso di primarie di coalizione, lei si candida?
«Non escludo niente, ma è presto. Il punto è il campo di gioco. Non si tratta di rimescolare lo stesso mazzo, ma di aggiungerne un nuovo».

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