Chiedo un libretto rosso che mi riprogrammi e mi aiuti a capire. Vedo maestri di giornalismo regrediti a propagandisti. Mi stupisco quando mi tocca constatare che ascoltano insensatezze e bestialità senza replicare, talvolta perfino annuendo. Mi auguro per loro che abbiano messo i ferri del mestieri in modalità riposo. Se Report umilia in prima serata una giornalista Rai, diffondendo una sua privatissima telefonata con il ministro di Fratelli d’Italia su un tradimento già noto a tutto il Paese, fa informazione.
Se un giornale riporta un discorso nel quale un consulente del Quirinale, Francesco Saverio Garofani, tre volte parlamentare del Pd, davanti a sedici persone in un ristorante espone strategie su come porre fine all’era Meloni e invoca qualcosa dall’alto che cambi la situazione, attenta al diritto di esporre il proprio libero pensiero. Perché? Facile: nel primo caso l’offeso è di destra e chi lo mazza è di sinistra, nell’altro l’incauto è di sinistra e il giornalista è di destra. Il potere di Giorgia dà alla testa a chi non ce l’ha. L’altra sera Michele Serra avvertiva Corrado Formigli: «Facciamo attenzione a quello che diciamo, perché tutti ascoltano tutti. Non si può dire neppure qualcosa in terrazza tra amici». Ma attenzione a cosa? Siete in tv, non su un’amaca, è evidente che vi ascoltano; dovreste augurarvelo. Il guaio è che a sinistra è morto il talk show. Una volta il programma, per quanto fazioso, si reggeva su un dibattito: c’erano tre compagnoni e almeno un fesso di area moderata che fungeva da bersaglio ma ogni tanto qualcosa riusciva a replicare. Oggi l’informazione anti-governativa ha cambiato ricetta. Si chiamano a rotazione vari personaggi fidati e si fanno parlare a ruota libera. Tema unico: attacco al governo, alla destra e a Meloni. A seconda dell’ospite, l’invettiva è colta, dotta, volgare, ignorante, surreale, strampalata, pittoresca; in ogni caso manipolatoria. Tommaso Montanari e Silvia Sciorilli Borrelli, riguardo alla loquacità di Garofani, hanno esposto indisturbati tesi suggestive.
Lui, professore, ha spiegato che Meloni, dopo i magistrati vuol prendersi il Quirinale. Di grazia, quando la premier avrebbe preso la magistratura? Forse nel caso gli italiani votassero “Sì”al referendum sul sorteggio dei membri del Csm, che tanto auspicava Marco Travaglio, direttore del quotidiano su cui il cattedratico scrive, come unico modo per sconfiggere il correntismo delle toghe? E forse che la Costituzione impedisce a un cittadino di destra di essere eletto presidente della Repubblica, anche se questo spiacerebbe a Montanari? Lei, giornalista del Financial Times, figlia di un redattore dell’Unità poi planato in Rai come tanti e nipote di un parlamentare comunista, spiegava come i colleghi stranieri ironizzino sul fatto che in Italia sia stata pubblicata una lettera recapitata via mail alle redazioni con un nome fittizio. Senza voler dare lezioni: esistono due notizie, quelle vere e quelle false. Quella di Garofani era vera e quindi non si può criticare chine ha dato conto. Quella della Bbc, che ha montato le parole di Donald Trump in modo da far sembrare che incitasse al colpo di Stato, benché britannica era falsa. Infatti il capo dell’emittente tv si è dimesso. Sempre da Formigli, Giovanni Floris mi ha stupito. Ha sostenuto che questo governo tiene i conti in regola non perché gli interessi l’economia, perché «per loro è tutta politica», ma in quanto non vuole essere fregato dai mercati, come è capitato a Silvio Berlusconi. Non conta il risultato positivo, male intenzioni, sottintese come malvage. Chiedere a Garofani quanto, secondo lui e i suoi danti causa, ne capiscano di economia Elly Schlein e Giuseppe Conte. È vero, tutto è politica; anche il giornalismo. Naturalmente perché comanda la destra.