Ornella Vanoni non fu mai una figlia dei fiori ma in politica una grande passione “floreale” la ebbe e fu per il garofano socialista. Appartenenza mai rinnegata, neppure nei momenti (e non ce ne sono stati pochi) di bassa marea per quel Psi che proprio dalla sua Milano aveva visto nascere la grandeur craxiana. Fulgore ideale, prima che di potere.
A colpirla di Craxi furono, parole sue, «la sua eloquenza, il saper parlare» che affascinò la bellissima ragazza, ormai già donna, entrata nei salotti intellettuali in epoche ben più lontane, attraverso il suo sodalizio artistico e amoroso con Giorgio Strehler. Una storia particolare. Irregolare così come Ornella non ha mai smesso di essere.
Che si tratti di sentimenti o di idee politiche. D’altra parte fu lei stessa, con la sua tagliente autoironia, a definirsi «una cialtrona» appena cinque mesi fa, quando la Statale le volle dare la laurea honoris causa in comunicazione. Ma era una “cialtrona” molto capace di penetrare con le sue parole, i suoi movimenti, le sue smorfie che già da sé erano ficcanti. Probabilmente, persino quelle, figlie della scuola strehleriana e degli anni nei quali, ben lontani dall’arrivo del craxismo, la giovane Ornella già simpatizzava fortemente per il leader socialista del secondo dopoguerra, Pietro Nenni che arriverà a frequentare proprio grazie al fondatore del Piccolo Teatro. Era un’epoca in cui la politica aveva un peso morale e una densità emotiva oggi difficili da immaginare. Vanoni, giovane artista in ascesa, vive quel rapporto come un’educazione sentimentale e intellettuale: Nenni è il simbolo di un socialismo idealista, intriso di umanità. È attraverso di lui che la cantante si avvicina alla dimensione pubblica, ma lo fa restando sempre fedele al proprio temperamento: curiosa, libera, insofferente alle rigide liturgie di qualsiasi partito, anche quello al quale sente di appartenere.
Più maturo ma probabilmente anche più personale il rapporto che Ornella ebbe con Bettino Craxi. Al punto che nel 1987, al culmine della forza politica del Cinghialone, arrivò alla cantante addirittura una proposta di candidatura alle elezioni politiche. Milano e la Lombardia erano un caposaldo di quella stagione che è anche coincisa con i due governi guidati dal segretario socialista. Proprio il turno elettorale del 1987, peraltro, fu quello che, restando nel mondo dello spettacolo, vide ascendere agli scranni di Montecitorio pure un giovane Gerry Scotti, proprio sotto le insegne socialiste.
Ornella invece rifiutò con una lettera affettuosa, custodita nell’archivio del Senato, da cui emerge un legame che andava ben oltre i confini della politica, tanto che non si spezzerà neppure con Tangentopoli, l’esilio craxiano e l’avvento della Seconda Repubblica. Anche se lo sguardo di Ornella, soprattutto su quella Milano non più da bere, muterà di molto con la maturità. A restare intatta è la capacità di stupire per libertà e autonomia di pensiero che, da perfetta socialista della diaspora, la portò, dopo il 1994, a sostenere e votare anche Silvio Berlusconi, fino a candidarsi, nel 2011, alle comunali in una lista civica a sostegno di Letizia Moratti, raccogliendo, però, solo 36 voti.
Ma del resto, forte della sua simpatia dissacrante e liberatoria, grazie alla quale poteva dire tutto, ultimamente non le ha mandate a dire nemmeno alla sua città: «Dopo Mani Pulite Milano non si è più ripresa. È triste, nessuno ride più. Nei bar di Brera dove incontravi artisti e intellettuali si sente solo odore di patate fritte. È una Milano da vomitare». Per citare il suo ultimo singolo: un sorriso in mezzo al pianto.