Solitamente parca con il nostro Paese venerdì notte l’agenzia di rating americana Moody’s ha promosso l’andamento dei conti pubblici italiani (non succedeva da 23 anni). Ma i grillini sembrano non digerire la buona notizia. Sarà che da quando “Giuseppi Conte” è passato con i compagni dell’opposizione ogni pretesto è buono per dare addosso alla maggioranza e al governo. Anche perché la promozione dell’Agenzia americana porta in dote una critica alla gestione finanziaria del M5s. Ricordate la trovata degli incentivi al 110%? Partorita senza includere alcun controllo? Ecco se oggi 59 milioni di italiani si trovano sul groppone 52mila euro di debito pubblico procapite (neonati compresi), parte del “merito” (responsabilità?) è di Conte e grillini che oggi si sgolano nel criticare Palazzo Chigi e Via XX Settembre.
«Meloni e Giorgetti», attaccano i parlamentari M5S delle Commissioni Bilancio e Finanze di Camera e Senato, «sono arrivati all’upgrade con il modo più semplice, per loro, ma più doloroso per gli italiani, spremuti come limoni: tagli micidiali, anche in virtù dell’accettazione di un assurdo patto di stabilità».
Modesto dettaglio: proprio per uscire un anno prima dalla procedura europea per “disavanzo eccessivo” Palazzo Chigi ha deciso di portare avanti una manovra di bilancio 2026 in formato light (18,7 miliardi di euro).
Il problema è (e resterà) la temuta “gobba” del debito pubblico italiano. Indebitamento che a settembre, dice Bankitalia, ha scavallato i 3.080,9 miliardi (con una limatura di 0,4 miliardi). Il nodo vero resta il debito pubblico italiano. E la conseguente quota del servizio sul debito. Vale a dire gli interessi che il Tesoro è costretto a mettere sul piatto per attrarre gli investitori. Oggi gli interessi sul debito pesano per circa il 4% del Pil. Ovvero oltre 86 miliardi l’anno. Il quadruplo dei costi di tutte le misure incluse nella legge di Bilancio 2026. I miliardi concessi con generosi incentivi edilizi negli ultimi anni hanno contribuito non poco ad appesantire i conti pubblici. Per di più con modesti ritorni in termini di crescita.
Secondo la Cgia di Mestre il conto “prudenziale” per le casse pubbliche è stato di 126 miliardi di euro. Questo per ristrutturare 499.709 edifici (il 4,1% del patrimonio immobiliare italiano). Senza tralasciare che le indagini condotte da Carabinieri e Guardia di Finanza hanno accertato (dati aggiornati ad agosto 2025) la bellezza di 18 miliardi di truffe legate al Superbonus e agli altri premi edilizi. Come se non bastasse, secondo l’approfondimento della Banca d’Italia, i benefici economici generati dal Superbonus «sono stati inferiori ai costi sostenuti».
Resta da saldare per gli italiani un conto stellare che influisce non poco. E quindi ci troviamo a seguire la rotta del rigorosa contabile. Anche perché per i prossimi anni le previsioni di crescita dell’indebitamento già prevedono un indebitamento in crescita (137,4% nel 2026, 136,4% nel 2027).
C’è da vedere lunedì mattina come i mercati finanziari reagiranno alla “promozione” di Moody’s. Gli investitori, in verità, hanno già premiato i titoli italiani. Dai dati del Tesoro salta fuori che, sempre ad agosto, le famiglie italiane avevano fatto incetta acquistando la bellezza di 442,4 miliardi di euro di debito pubblico italiano, pari al 14,4% del totale di 3.081 miliardi. Mettendo in colonna i numeri si intuisce la pericolosità di non invertire la rotta. Solo dal 2019 a oggi il debito pubblico italiano è lievitato di 665 miliardi (da 2.415,6 miliardi del 2019 a 3.080,9 miliardi nel 2025.). Un balzo di circa un terzo (27,5%). Non ce lo possiamo permettere.
Già le borse internazionali sono in fermento per la temuta bolla sui titoli delle multimiliardarie società coinvolte nello sviluppo dell’intelligenza artificiale. E questa tensione è rappresentata dal rassicurante posizionamento su obbligazioni reputate stabili e affidabili.
Tanto più che bisognerà vedere cosa succederà a inizio dicembre con la prevista riunione della Federal Reserve. Secondo gli analisti la Fed potrebbe limare nuovamente i tassi d’interesse americani all’ultima riunione dell’anno (10 dicembre). Ritocco che potrebbe trainare anche le scelte della Banca centrale europea nell’ultima riunione del 18 dicembre.
Intanto si attende la decisione dei banchieri americani che potrebbero optare per ridurre il costo del denaro di un quarto di punto (terzo intervento quest’anno dopo quelli di settembre e ottobre). Venerdì la dichiarazione del presidente della Fed di New York, John Williams - membro di peso e con diritto di voto del Fomc - ha fatto ben sperare. Williams ha fatto intuire che la banca centrale Usa può ancora tagliare i tassi di interesse «nel breve termine» senza mettere a rischio il suo obiettivo di inflazione.
Un intervento auspicato politicamente dalla Casa Bianca. Il tutto sollecitato da un non entusiasmante andamento dell’occupazione. Rallentamento che per gli Usa rappresenta una minaccia maggiore rispetto all’inflazione più elevata. «La mia valutazione», ha scandito Williams che fa parte di una troika che include anche il presidente Jerome Powell e il vicepresidente Philip Jefferson, «è che i rischi al ribasso per l’occupazione sono aumentati man mano che il mercato del lavoro si è raffreddato, mentre i rischi al rialzo per l’inflazione si sono un po’ attenuati», ricordando che i progressi sull’inflazione «si sono fermati» a causa dell’impatto dei dazi e di altri fattori.