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Il Pd benedice il corteo che dà l'assalto alla polizia

Il sindaco Salis, in testa al corteo, fa un appello alla calma. Ma poi è guerriglia urbana contro le forze dell’ordine
di Pietro Senaldi venerdì 5 dicembre 2025

4' di lettura

«È una escalation inquietante, che segna il superamento di ogni limite e alza il livello di violenza. Abbiamo assistito ad aggressioni organizzate portate avanti con determinazione assoluta e che nulla hanno a che vedere con il diritto di manifestare». Il sindacato di Polizia è categorico. Dall’altra parte, dal corteo dei metalmeccanici, si alza il grido “Noi vogliamo solo lavorare”. Le scene di ieri però sono state da guerriglia urbana, con il corteo dei sindacati che ha puntato dritto alla Prefettura di Genova. Dopo un lancio di petardi e uova contro le forze dell’ordine, squadre d’assalto hanno iniziato il lavoro per abbattere, con tiranti d’acciaio e macchinari tecnici portati sul posto, le protezioni messe dalla polizia e aprirsi un varco verso il palazzo del governo.

Era stato tutto annunciato del resto. «Se necessario, ci picchieremo con gli agenti, così poi saranno affari del governo giustificare le botte agli operai che lottano per difendere il posto di lavoro. Noi non abbiamo paura». Così la Fiom genovese aveva presentato la manifestazione di ieri, rivelando una strategia tesa a cercare l’incidente in piazza. Hanno avuto paura invece gli abitanti di Cornigliano, il quartiere genovese che ospita l’impianto siderurgico.

Sfiniti da mesi di caos e proteste, avevano organizzato per ieri una marcia contro i sindacati, ma hanno preferito rinunciarvi, consapevoli del fatto che tra i lavoratori manifestanti c’era chi non aveva intenzioni eccelse. Quello che non ci si aspettava, forse, è che la sindaca Silvia Salis, dopo una tale precisazione, desse ugualmente la sua benedizione al corteo, mettendovisi in testa alla partenza. Poi certo, la prima cittadina non era presente all’assalto; anzi, aveva messo le mani avanti, anche se in modo un po’ peloso, invitando i manifestanti a non scadere nella violenza per non dare alibi al governo. Un appello retorico, con il quale la politica si è lavata la coscienza e si è resa inattaccabile, pur ribadendo però il sostegno alla piazza.

Oggi Salis, con il governatore della Liguria, Marco Bucci, è a Roma per incontrare il ministro dello Sviluppo Economico e parlare del tema che ha dato il là alla protesta. Sul piatto c’è il futuro siderurgico di Genova, dove essenzialmente si lavorano le materie prime che arrivano dall’acciaieria Ilva di Taranto. Difficile immaginare una discussione serena, vista l’esibizione muscolare di ieri. Il fatto è che, con l’impianto pugliese che lavora a livelli minimi, al capoluogo ligure mancano gli approvvigionamenti.

In realtà una soluzione ci sarebbe, il famoso forno elettrico, al quale Salis aveva detto un mezzo sì «per non fermare lo sviluppo della città», salvo poi rimangiarselo. Il problema della sindaca è quello che hanno gli amministratori del Pd delle rosse Torino e Bologna: governare con Alleanza Verdi e Sinistra e le forze estremiste, che condizionano pesantemente le loro giunte. Per di più, a Genova, primo esperimento di campo largo dell’era Elly Schlein, in maggioranza ci sono anche i grillini, che hanno sfilato contro il forno elettrico. Il che significa, in buona sostanza, addio sviluppo. La sinistra sostiene che tutto può andare avanti anche senza Ilva e senza forno elettrico, che sono orizzonti ormai superati, purché si riconverta tutto sulla lavorazione della banda stagnata. Peccato che non indichi da quali filiere e quali mercati prenderla....

È difficile non leggere nell’episodio di ieri una mossa antigovernativa per fomentare disordini di piazza che va oltre le vertenze sindacali e la difesa dei diritti dei lavoratori. Da quando dal porto è salpata la Flotilla, nei carruggi genovesi circola la sinistra frase «bisogna fare come il 30 giugno 1960», alludendo agli scontri che provocarono la caduta del primo governo repubblicano sostenuto dalla destra, sebbene con un appoggio esterno.

Le forze dell’ordine hanno detto chiaramente che «dentro il corteo hanno agito gruppi estranei, organizzati e pronti allo scontro». L’amministrazione cittadina non ha parte in questa strategia, che rimanda all’incitamento di un anno fa del segretario della Cgil, Maurizio Landini, alla rivolta sociale.

È solo sotto schiaffo delle frange estremiste con cui le giunte del campo largo hanno stretto un patto politico. È questo che impedisce al sindaco di Bologna, Matteo Lepore, di revocare la cittadinanza onoraria a una Francesca Albanese sempre più fuori controllo e da cui la maggior parte della sinistra, non ultimo il grande felsineo, Romano Prodi, ha preso le distanze. Ed è questo che ha portato il sindaco di Torino, Stefano Lo Russo, ad attaccare il ministro dell’Interno anziché il centro sociale Askatasuna, che lui reputa un bene cittadino, per l’assalto della settimana scorsa alla redazione della Stampa e le minacce di morte ai giornalisti. Se, come non è da escludersi, il livello della violenza si alzerà ancora, quale posizione prenderanno i moderati sindaci dem e dintorni?

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