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Pd, al Nazareno manca una strategia globale

Una linea di politica estera, comprensiva naturalmente dei rapporti con e nell’Unione e con gli Stati Uniti, il governo bene o male ce l’ha. Una linea di politica estera dell’opposizione al singolare non esiste
di Francesco Damato lunedì 8 dicembre 2025

3' di lettura

Dopo le ultime notizie o sensazioni arrivate dagli Stati Uniti, dove un documento attribuito alla conoscenza o persino alla ispirazione del presidente Donald Trump in persona prospetta il rischio della “cancellazione” dell’Europa in una ventina d’anni, non ho ancora sentito o letto di una richiesta a comparire, diciamo così, alla premier Giorgia Meloni davanti a una delle Camere, o a entrambe, per esporre la posizione del governo italiano. Non ancora, ripeto, magari per distrazione da ponte dell’Immacolata in corso, costruito senza progetti e spese del ministero delle Infrastrutture guidato dal vice presidente leghista del Consiglio Matteo Salvini. Un ponte semplicemente da calendario, sottratto ai controlli della Corte dei Conti o alla curiosità di qualche Procura della Repubblica sensibile ai rischi delle solite infiltrazioni mafiose nelle grandi opere.

Non ho sentito o letto richieste di comparire né alla Meloni presa singolarmente né alla maggioranza nel suo complesso, e quindi reclamando anche rapporti e simili dei vice presidenti del Consiglio e altri soci della coalizione di centrodestra. Come ha fatto di recente la segretaria del Pd Elly Schlein condizionando un confronto pur chiesto da lei stessa con la Meloni, durante la festa nazionale della destra a Castel Sant’Angelo, alla partecipazione almeno di Matteo Salvini e Antonio Tajani per accettare di essere affiancata da Giuseppe Conte. Che, dal canto suo, si era affrettato ad annunciare la sua disponibilità alla premier che lo aveva proposto. Storie di scacchi o furbizie e sgambetti che hanno tenuto banco per un po’ sulle prime pagine dei giornali, col solito contorno di retroscena e sospetti velenosi.

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Se questa richiesta a comparire in Parlamento sul presente e sull’avvenire dell’Europa e dei suoi rapporti con gli Stati Uniti dovesse arrivare, o fosse addirittura già arrivata, ripeto, nella mia distrazione da ponte, avrei da eccepire personalmente qualcosa all’opposizione che in queste circostanze suole parlare e attaccare al singolare. Una linea di politica estera, comprensiva naturalmente dei rapporti con e nell’Unione e con gli Stati Uniti, il governo bene o male ce l’ha: bene nelle parole e opere della premier, del suo ministro degli Esteri e di quello della Difesa Guido Crosetto, per le sue competenze militari, e male- se pure si voglia lamentarsene- nei borbottii, resistenze a altro con cui Salvini personalmente e i parlamentari leghisti collettivamente si allineano al momento decisivo.

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Una linea di politica estera dell’opposizione al singolare non esiste. E di definirla Conte non ha alcuna fretta, essendosi appena preso sino alla fine dell’estate prossima per definire il programma in generale del suo movimento 5 Stelle e confrontarlo poi con quelli degli altri candidati all’alternativa al centrodestra, cercare di stenderne uno comune e poi affrontare il problema spinosissimo della cosiddetta leadership della coalizione. Ma ancor più del tempo che si è preso Conte per confrontarsi con le altre opposizioni dalla sua posizione attuale di pacifismo assoluto e contrarietà altrettanto assoluta ad ogni progetto di rafforzamento delle difese, singole e collettive nell’Unione europea, è grave la mancanza di chiarezza sulla politica estera nel Pd, cioè nel partito maggiore dell’aspirante alternativa al centrodestra.

Una mancanza che non è avvertita solo da me, ma anche da fior di fondatori e graduati del partito del Nazareno. È da un anno, o almeno dall’insediamento di Trump, che nel Pd quel rompiscatole che penso sia diventato agli occhi e alle orecchie della Schlein l’ex capogruppo al Senato ed ex tesoriere del partito, Luigi Zanda, chiede inutilmente un congresso o qualcosa di equipollente sulla politica estera nello scenario mondiale intervenuto dopo l’elezione dell’attuale segretaria. Che se la prende anche lei comoda, come il suo concorrente Conte nella corsa a Palazzo Chigi per l’improbabile successione alla Meloni. 

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