Ai tempi del governo “Conte I”, quello giallo-verde, il ministro delle Riforme istituzionali non c’era. O, meglio: la delega era stata attribuita al ministro dei Rapporti con il Parlamento, il grillino Riccardo Fraccaro. Investito, appunto, della carica di ministro dei “Rapporti con il Parlamento e democrazia diretta”. Ciò non impedì al Movimento 5 Stelle di appuntarsi sul petto l’approvazione della legge costituzionale «in materia di riduzione del numero dei parlamentari» (da 630 a 400 deputati e da 315 a 200 senatori). Una sforbiciata - si leggeva nel dossier del 29 luglio 2019 della presidenza del Consiglio dei ministri guidata da Conte- con un duplice obiettivo: «Da un lato favorire un miglioramento del processo decisionale delle Camere per renderle più capaci di rispondere alle esigenze dei cittadini e, dall’altro, ottenere concreti risultati in termini di spesa pubblica (dunque ridurre il costo della politica)».
IL PARADOSSO
Un risparmio stimato, la previsione è dell’8 novembre 2018, in «circa 500 milioni di euro in una legislatura». Da destinare, come scrisse su Facebook l’allora leader grillino, Luigi Di Maio, a «133 nuove scuole o 67mila aule per i nostri bambini; 13mila ambulanze; 11mila medici o 25mila infermieri; 133 nuovi treni per i pendolari». Traguardo, secondo quanto anticipato ieri dall’agenzia di stampa Adn Kronos, che al momento non sarebbe stato raggiunto. Anzi, per quanto riguarda la Camera dei deputati, la spesa annua complessiva sarebbe addirittura aumentata nonostante la diminuzione degli scranni. Da una rielaborazione dei rendiconti ufficiali di Montecitorio, infatti, emerge che mentre nel quinquennio 2017-2021 la spesa annua complessiva ammontava in media a 1.034 milioni di euro ogni dodici mesi, nel periodo 2022-2024, quello nel quale è entrato in vigore il taglio dei parlamentari (confermato in via definitiva dal referendum costituzionale del 20 e 21 settembre 2020), la spesa media di Montecitorio si è attestata a 1.293 milioni.
AdnKronos cita l’esempio del “Contributo unico e onnicomprensivo”, quello destinato ai gruppi parlamentari: negli ultimi esercizi sarebbe rimasto sostanzialmente stabile, pari a circa 30,9 milioni di euro. Da qui il paradosso: essendo i deputati passati da 630 a 400 ed essendo il contributo rimasto pressoché invariato, ciascun eletto dal 2022 a oggi ha ottenuto maggiori risorse. Conclusioni che coincidono con le analisi dell’Osservatorio dei Conti Pubblici diffuse in autunno. Numeri migliori li può vantare il Senato, dove il saldo complessivo delle spese previste per il 2025 è invariato rispetto a quello del 2024. La dotazione richiesta per il 2026 ammonta a 505 milioni ed è di importo identico a quella del 2011. Ancora: dal 2012 a oggi, il carico finanziario di Palazzo Madama sulla finanza pubblica si è ridotto di circa 460,5 milioni di euro. Un esito reso possibile sia dal taglio strutturale della dotazione annuale - come detto di importo identico a quella del 2011- sia dai risparmi aggiuntivi realizzati: in media 11 milioni annui tra il 2018 e il 2025.
LA DIFESA DEL M5S
Il Movimento 5 Stelle non ci sta a vedere ridimensionati gli effetti di quella che fu, insieme al reddito di cittadinanza, la misura simbolo dei suoi anni al governo. «Se non ci fosse stato il taglio dei parlamentari, oggi la spesa complessiva sarebbe stata più elevata», attacca Filippo Scerra, deputato pentastellato. Scerra, questore di Montecitorio, invita a leggere meglio i numeri: «È vero che altre voci di spesa hanno seguito l’andamento dell’inflazione e hanno contribuito a far crescere i costi complessivi, tuttavia se si guarda alle spese di funzionamento emerge un quadro di sostanziale contenimento dei costi». L’altro questore della Camera, Paolo Trancassini, di Fratelli d’Italia, concorda: «Nonostante l’impatto dell’inflazione e una serie di aumenti generalizzati, la spesa complessiva è rimasta sostanzialmente invariata. Questo dato evidenzia una gestione attenta e virtuosa delle risorse».