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Coronavirus, "i buchi nella catena di contagio": l'esperto spiega la principale criticità nei trattamenti

martedì 29 settembre 2020

2' di lettura

Risalire all'origine del contagio per evitare ulteriori danni e spegnere sul nascere i focolai. E' ciò di cui si occupano ogni giorno i team di contact tracing nelle Asl di tutta Italia. In attesa del vaccino, il tracciamento del virus aiuta a tenere sotto controllo la pandemia. E a questo si aggiungono ovviamente mascherine, distanziamento e lavaggio frequente delle mani. "Per ora abbiamo retto. Con disciplina e umanità, senza mai dimenticare che dall'altra parte del telefono ci sono persone". A parlare è Antonio Miglietta, 59 anni, infettivologo a capo del team di contact tracing dell'Asl Roma 2, la più grande d'Italia, con 1 milione e 400 mila pazienti.

 

 

 

Nell'intervista rilasciata al Quotidiano Nazionale, Miglietta spiega che finora non ci sono stati grossi problemi, ma adesso si iniziano a scontare gli effetti del rilassamento estivo e della movida. In Italia la situazione contagi non è paragonabile a quella che si osserva in Spagna o in Francia. Ma si assiste comunque a un evidente aumento del numero di positivi nella gran parte delle regioni. Basta vedere qualche dato: in Lombardia si è passati da 13,5 positivi per 100 mila abitanti a 28,50; in Emilia Romagna da 9,60 a 34,37; in Toscana da 3,17 a 34,30; nelle Marche da 0,59 a 24,57; in Umbria da 1,02 a 31,58. E di conseguenza crescono anche i focolai attivi. Stando alla rielaborazione dati proposta dalla Federazione dei medici internisti ospedalieri (Fadoi), tra il 5 luglio e il 20 settembre in Lombardia si è passati da 453 focolai a 983; in Emilia Romagna da 10 a 385; in Toscana da 10 a 157; nelle Marche da 1 a 24; in Umbria da 1 a 54.

Miglietta poi chiarisce che, purtroppo, non sempre si riesce da ogni positività a risalire al paziente di origine del contagio: "I buchi sono inevitabili. E' un problema serio, perché questo significa lasciare in circolazione persone contagiose e inconsapevoli". Tuttavia i team delle Asl, i cosiddetti cacciatori del virus, spesso riescono a capire - dall'incrocio di dati e interviste - se il contagio si sta propagando dall'ambiente lavorativo o da quello familiare, aiutando così a ridurre i danni.

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