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Marte, c'è davvero vita: la scoperta della Nasa

di Luca Puccini venerdì 12 settembre 2025

3' di lettura

Un po’ David Bowie, un po’ Elon Musk (che sono anni guarda alle stelle, anzi proprio al pianeta rosso), un po’ serie spaziale come For all mankind: di certo, però, un pensiero che si riaccende e mica con un annuncio di poco conto, semmai con l’indicazione della scienza. Su Marte ci sono possibili tracce di vita (passata). Sì, d’accordo, si tratta di microrganismi esistiti (forse) chissà quante ere fa, ma vuoi mettere?

E' una scoperta che cambia tutto. Ed è la Nasa, l’agenzia spaziale degli Stati Uniti, che parla per prima della presenza di questi potenziali segni di antica vita microbica sul quarto globo del sistema solare: nel farlo, in una videoconferenza che fa presto il giro del (vecchio) mondo, mostra il campione di una roccia di 6,2 centimetri di altezza. Sopra c’è una macchia biancastra piena di puntini e macchioline.

Quel frammento alieno è stato prelevato l’anno scorso, il 21 luglio del 2024, vicino a una valle fluviale che si chiama della Neretva: già così è preziosissimo, visto che sta a 228 milioni di chilometri rispetto a noi, è in “mano” alla sonda rover Perseverance ed è analizzato “da remoto” da un team internazionale pereparatissimo e ultraformato. Eppure c’è dell’altro. L’importanza di questo “sassolino spaziale” diventa incalcolabile, infatti, per la storia che potrebbe raccontarci: allo sguardo attento dei ricercatori pare proprio contenga potenziali le cosiddette “biofirme”, che altro non sono che sostanze o strutture le quali potrebbero avere un’origine biologica. Potrebbero, cioè, aver contenuto la vita come la intendiamo sulla Terra.

Nel cratere Jezero su quel letto fluviale mariziano dal colore arancio spento miliardi di anni fa c’era un lago: questo è noto da tempo. Un lago significa acqua e l’acqua è la prima condizione necessaria per la vita di cui abbiamo coscienza noi umani. Per il resto non c’è nulla di certo: servirà anzitutto portare il campione nei laboratori terrestri e studiarlo con maggiore attenzione, dopodiché sarà necessario escludere che i leopard spots (le macchioline) e i poppy seeds (quelli che sembrano dei semini) che si vedono da qui non abbiano invece una genesi geologica. Il passo è dovuto ma si preannuncia rivoluzionario e la scoperta è sul serio significativa.

«Non troviamo altre spiegazioni per chiarire l’origine di queste rocce», specifica la Nasa, che è un po’ come ammettere sia la più classica lezione di uno Sherlock Holmes intergalattico: per prima cosa pensare a tutte le ipotesi realisticamente possibili, poi scartare quelle insussistenti e focalizzarsi sulle probabili.

Un ciottolo marziano, sì, però epocale. «Questa scoperta di Perseverance», aggiunge non a caso Sean Duffy, l’amministratore facente funzioni della Nasa, «mandata su Marte nel 2020 durante il primo mandato di Trump, è la più vicina di sempre alla scoperta della vita su Marte. L’identificazione di una potenziale firma biologica lassù farà progredire la nostra comprensione».

Deve ancora essere provata ogni cosa, intendiamoci: e l’entusiasmo della prima ora può rivelarsi controproducente (come lo è stato qualche anno fa quando sono state trovate tracce di fosfina, ossia di una molecola correlata con alcune attività biologiche nel nostro pianeta, nell’atmosfera di Venere: dopo attente valutazioni, s’è capito d’aver fatto un errore di calibrazione e lo slancio iniziale è andato a ramengo). Però è una delle grandi domande dell’esistenza: siamo solo nell’universo? Secondo il paradosso di Fermi, o semplicemente per la legge dei grandi numeri, viste le numerose galassie che esistono, la risposta più logica dovrebbe essere “no”: ma la scienza non si limita alla logica, ha bisogno di prove concerete. Le rocce coi resti dei microbi marziani farebbero propendere in questo senso: non significano che c’è ancora vita su Marte, ci spiegano che probabilmente c’è stata.

«Il nostro impegno nel condurre ricerche scientifiche di alto livello continuerà mentre perseguiamo l’obiettivo di mettere gli stivali sul suolo roccioso di Marte», continua Duffy. Il rover statunitense fuori dall’orbita terrestre, da quando è in funzione sul pianeta rosso, ha raccolto trenta campioni anche in collaborazione con l’Esa, l’Agenzia spaziale europea: la roccia mircrobica (il suo nome ufficiale è “Sapphire canyon”) è il 25esimo reperto. Gli scienziati e gli esperti si sono accorti subito di quanto fosse centrale. Ora non resta che aspettare gli sviluppi del monitoraggio.

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