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Il ritorno di Dallas: da settembre su Mediaset

Nella nuova edizione della serie il figlio di J.R: è peggio di papà
di Andrea Tempestini sabato 16 giugno 2012

3' di lettura

Tremate, anime belle, fautori della politica delle mani nette. Gli Ewing sono tornati. Il clan di Dallas che negli anni 80 furoreggiò in Usa e nel mondo e impose i suoi modi di (cattivo) comportamento, imperverserà di nuovo sugli schermi. La nuova serie ha debuttato con squilli di tromba due giorni fa sui piccoli schermi americani, e dal 5 settembre irromperà su quelli nostrani. Di Canale 5, naturalmente. Figuriamoci se la tv berlusconiana non si accapparava il revival del serial che quasi 30 anni fa le procurò una serie di vittorie nell’eterna lotta col network di Stato. Torneranno Gei Ar (Larry Hagman) il suo buon fratello Bobby (Patrick Duffy) la moglie spesso ciucca Sue Ellen (Linda Gray). Tutti in buona salute (Hagman ha passato gli 80) e quindi in grado di rispondere alla chiamata della Warner Television che spera di rinnovare i fasti degli anni 80. Certo, alla loro veneranda età, Hagman e compagni non possono pretendere lo spazio (e le paghe) degli anni d’oro. Il nuovo ciclo (per ora son previsti dieci lunghi telefilm, poi si vedrà)  è centrato su una nuova rivalità, quella tra il rampollo di Gei Ar, John Ross (Josh Henderson) e quello di Bobby (Jesse Metcalfe). In omaggio alle aspettative del pubblico e in spregio alla realtà (nella vita di tutti i giorni i figli si fanno un dovere di essere il contrario dei padri) John Ross  è più mascalzone del babbo. Che a distanza di 30 anni ci fa ancora la figura del simpatico birbaccione. John Ross invece, è una canaglia senza mezzi termini. Non  contento di ammorbare l’aria del Texas  moltiplicando i pozzi petroliferi, allunga le sue rapaci mani su Wall Street.  Gei Ar in fondo era un riccone che spostava dalla sua parte la sua ricchezza ma non depredava lo Stato della Stella Solitaria. John Ross invece furoreggia in piena crisi mondiale. Ben deciso, in un pianeta in cui il potere e il denaro si radunano sempre più nelle mani di pochissimi, a essere in pianta stabile uno dei pochissimi.  Carogna anche nel privato. Ha fatto in modo che il matrimonio  del cugino Christopher fallisse per poi mettersi colla sua ex. Christopher invece  è un Bobby  con trent’anni di meno. Sa già che dovrà battersi  tutta la vita con John Ross e ha i mezzi e l’energia per farlo.  Ma è intenzionato anche a mollare il petrolio che fece la fortuna della famiglia per dedicare i miliardi alle energie alternative. Ora la domanda è: riusciranno i nuovi eroi non a far dimenticare i vecchi, ma a pareggiare il loro successo  d’antan? Probabilmente no. Dallas capitò anche nel momento giusto, in piena era Reagan, quando il capitalismo godeva una nuova grande stagione, e mandava il comunismo a catafascio. E non poteva non trovare un riscontro in Italia, dove il Berlusconi imprenditore dilagava senza trovare ostacoli. Dallas e i serial contemporanei come Dynasty,  Falcon Crest e I Colby imponevano modelli di ricchezza e di potere imitabili anche dall’uomo della strada. Oggi l’uomo (anche in Usa) fa fatica ad arrivare alla fine del secolo. Il pubblico amava quella simpatica canaglia di Gei Ar, lo adottava,  il nome entrava persino nel lessico italiano (dopo Dallas ogni figlio avido e furfante veniva chiamato J.R. dai parenti o dalle vittime). Difficile che John Ross entri nei cuori (non saremo mai ricchi come lui, siamo e saremo poveri per colpa di ceffi come lui). Difficile  che  Josh Henderson  se e quando verrà in Italia riscuota il successo che a suo tempo toccò a Larry Hagman. Al Manzoni Berlusconi gli dava il telegatto e le matrone milanesi flautavano estasiate: «Se l’è’ bel el “cativ”. La Sue Ellen la capis nagott». di Giorgio Carbone

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