Apparteneva, Lea Massari, al novero (esiguo) di chi ha saputo imporsi nel cinematografo senza mai chinarsi al compromesso. Diva lo è stata eccome: come stella brillava di una luminosità tutta sua non solo per il talento d’attrice, ma per questo suo anticonformismo che non era una posa tanto per, bensì le apparteneva come un marchio inciso sulla carne.
«In otto anni non l’ho mai vista cedere a un compromesso, rinunciare a sé stessa, non le ho mai udito risparmiare l’accusa di cretino a un cretino: ovvio che il mondo dei cretini ce l’abbia come il fumo negli occhi»: sono parole espresse da Oriana Fallaci, che nel ’64 riuscì nell’impresa di ghermirle un’intervista. Le risposte che fornì all’amica Oriana erano di questo tenore qua: «Macché Massari e non Massari! Macché attrice e non attrice! Sul mio passaporto c’è scritto Anna Maria Bassatani professione casalinga, e c’è scritto casalinga perché io mi vergogno a fare l’attrice, anzi l’attrice di cinema, perché mi son sempre vergognata profondamente a fare il cinema».
DESTINO CRUDELE
A voler rovistare un pochino nella sua psiche, è plausibile immaginare che una certa inquietudine caratteriale traesse origine dalla consapevolezza, maturata fin da ragazza, che la vita può essere molto crudele: non è da tutti dover accettare la morte per circostanze tragiche del fidanzato col quale, di lì a breve, sarebbe dovuta convolare a nozze: si chiamava Leo, e per tenerlo sempre con sé scelse il nome d’arte Lea. Era tutto fuorché malleabile. Mai avute velleità da reginetta delle copertine: amava le belle arti e studiava, da universitaria, le belle arti quando Piero Gherardi, scenografo tra i più grandi, la volle come assistente, nel ’54, per Proibito, adattamento da Grazia Deledda: la vista lunga di Monicelli, regista del film, sbirciò nell’anima dell’allora ventunenne e capì che la protagonista della storia, attanagliata dai tormenti d’amore verso un parroco in una Sardegna arcaica, poteva avere il suo volto. Il decollo cinematografico iniziò, da lì si susseguirono, al cinema come a teatro e negli sceneggiati televisivi, impersonificazioni a iosa di donne lontane, mille miglia, dall’oleografia della femminilità arrendevole.
Tra le tappe significative del suo cammino di celluloide, Michelangelo Antonioni le fece lambire l’alienazione ne L’Avventura, nel ruolo di una nevrotica che durante una gita in barca faceva perdere, così d’emblée, le proprie tracce. Poi venne un ruolo tra i suoi più acclamati: in Una vita difficile accettava, ma solo fino a un certo punto, le pretenziosità di un ex partigiano che si era convinto di poter sfondare come scrittore ma gli mancava in parte la stoffa e, soprattutto, la fortuna.
C’è nella sua carriera un appuntamento mancato con Fellini, che inizialmente la volle in 8 1/2, ma anche parecchi appuntamenti andati a buon fine col gotha registico, da Mauro Bolognini (La giornata balorda) a Zurlini (La prima notte di quiete), dai Taviani (Allonsanfan) a Francesco Rosi (Cristo si èfermato a Eboli). La Francia, non c’è di che stupirsi, aveva intravisto in lei, più degli italiani, un’attrice capace di incarnare una femminilità gravida di sfumature psicologiche. Claude Sautet, Louis Malle, René Clement sono solo alcuni dei maestri di là delle Alpi che investirono, fruttuosamente, sui suoi talenti, e divi transoceanici quali Alain Delon, Michel Piccoli, Jean-Paul Belmondo si interfacciarono interfacciarsi, con piena soddisfazione, al suo temperamento. Per non parlare delle soddisfazioni che le fornì la Russia: la sua Anna Karenina, restituita in una fortunata miniserie televisiva negli anni ’70, aveva la consapevolezza, espressa carsicamente nel suo volto, che la felicità sia sempre uguale per tutti, mentre l’infelicità è diversa per ognuno.
IL RITIRO
Dal ’90 abbandonò le scene, e lo fece con una coerenza alla Lea Massari, senza cedere alle lusinghe di dichiarazioni che fanno rumore (ogni riferimento alla pressoché coetanea Bardot non è puramente casuale). Una volta Costanzo la prese bonariamente in giro per lo zelo che riponeva nella causa animalista. Ma lo fece con affetto, perché la amava molto. Si ricordava, eccome, di quella volta che anni prima la invitò a Bontà loro, e con lei scambiò uno sguardo d’intesa talmente fugace che difatti sfuggì a tutti, fuorché all’allora consorte di Costanzo. Ma non era mica da biasimare. Tutti noi, che l’abbiamo veduta all’opera, abbiamo preso una sbandata per Lea Massari.