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Zio Paperone parla anche latino: hic et nunc...

Nasce una collana Disney Fumetti in lingua. Il primo volume è dedicato all'idioma dei Romani, che è tutt'altro che morto
di Andrea Maggi venerdì 12 settembre 2025

5' di lettura

Da ragazzo ho frequentato il liceo classico. Il greco e il latino per me erano il pane quotidiano. Durante il biennio in particolare c'era molto da studiare, da ripetere, da tradurre e non era sempre facile. Bisognava studiare solo e unicamente dagli autori e non c'erano fumetti che mi aiutassero a imparare con leggerezza. Perciò non sapete quanto siete fortunati oggi ad avere a disposizione Scrúgulus, questa divertente storia a fumetti firmata da Rudy Salvagnini e Giorgio Cavazzano (...) nella sua versione in italiano con traduzione a fronte in latino.

Quanto a me, da giovane studente del ginnasio (così si chiamava ancora il biennio del liceo classico) trovavo il latino estremamente affascinante e per questo la fatica passava in secondo piano. Ma la scuola non era la mia unica occupazione, dato che amavo molto il calcio. I miei compagni di squadra frequentavano tutte le scuole tecniche o gli istituti professionali. Erano bravissimi a costruire circuiti elettrici ea smontare i loro motorini; alcuni di loro, già grandi, lavoravano in fabbrica. Tutti mi chiedevano sempre la stessa cosa: ma a cosa serve il latino? Io non sapevo mai cosa rispondere. Li vedevo così orgogliosi dei loro motorini, e poi delle auto che potevano acquistare con i loro primi stipendi.

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Invece io, che studiavo latino e greco, non potevo “spendere” le mie conoscenze per comprarmi un bel niente. Mi sentivo molto a disagio, perché non potevo dimostrare che il mio sapere avesse una ricaduta nella vita, a differenza dei miei compagni di squadra: se un impianto elettrico fosse andato in avaria, loro lo avrebbero riparato; io, al massimo, avrei potuto ripetere a memoria la declinazione di “lupus” o il paradigma di “fero”. Avrei potuto recitare a memoria l'incipit del De rerum natura di Lucrezio, ma l'impianto elettrico di certo non si sarebbe riparato. Per questo in squadra ero quello che studiava cose “inutili”. L'unico che mi guardava con un occhio di ammirazione era il mio mister. Si chiamava Silvano e faceva l'operaio di linea, in fabbrica. Quello dell'allenatore per lui era un hobby.
Amava molto il calcio, anche quando si infuriava dalla panchina. E sapete perché? Perché per Silvano il calcio era una grande passione. E proprio Silvano mi ha fatto capire che quando hai una passione, devi inseguirla con tutte le tue forze e per tutta la vita. La vita, mi ha spiegato a modo suo Silvano, acquista un senso solo se è messa al servizio della nostra passione più grande.

E il mio mister aveva capito che la mia passione era lo studio; quindi, a suo modo di vedere, facevo bene a studiare il latino e il greco, anche se non ci avrei comperato la macchina. Studiare era il mio fine, mentre la macchina è un mezzo che ci porta da un posto a un altro. Il problema è se tu scambi il mezzo per il fine, perché allora della vita non hai capito niente. Silvano non c'è più da qualche anno e chissà se ha mai saputo che il suo è un nome di origine latina: come Silvia, viene da “silva”, che vuol dire “bosco”. In latino “Silvanus” è il dio dei boschi e dei campi. Spero tanto che adesso il mio mister si stia godendo la pace dei boschi dell'aldilà che tanto ha meritato. Ricordo che, sempre da ragazzo, un giorno volli fare uno scherzo a mio fratello. Più piccolo di me, anche lui ha fatto il liceo classico, non amava studiare dai miei libri, per cui aveva preteso che i nostri genitori gli comprassero tutti i libri nuovi di zecca.

Quando si fece comprare la sua copia dell'Eneide, gliela presi di nascosto e gli scrissi una dedica a matita con la mano sinistra, quella, per capirci, con cui non scrivo. Scrissi: "A Federico, mi raccomando, studia! Firmato Virgilio. Ps: Scusa la scrittura tremolante, ma non è facile scrivere da morti". Giuro che se ci ripenso, ancora adesso mi viene da ridere. Ho trovato molto divertente lasciare a mio fratello una “dedica impossibile”, soprattutto per il fatto che Virgilio gliel'avesse scritta in italiano e non in latino. E poi c'era quel Ps (in latino: “post scriptum”, ossia scritto dopo): che Virgilio usasse un latinismo mi faceva letteralmente impazzire! Non so come mai, ma sono stato l'unico dei due ad aver apprezzato tutto questo.

Scherzi a parte, il latino è una lingua davvero affascinante. Ne ho conferma ogni volta che ne parlo ai miei studenti. Quando spiego la grammatica italiana, mi capita spesso di perdermi in divagazioni sul latino che mi divertono e che divertono anche i ragazzi; ed è proprio in quei momenti, quando il discorso vira al largo, in direzione dell'antico, che gli occhi dei miei studenti si accendono d'interesse. Perché se in italiano vogliamo capire la differenza tra una “è” accentata e una “e” non accentata, dobbiamo per forza risalire alle loro origini latine, che sono ben distinte: la prima viene da “est” (ossia dal verbo “esse”, essere) e la seconda dalla congiunzione copulativa “et”.

Per quanto la differenza apparentemente consiste solo in una misera “s”, proprio quella consonante rappresenta l'abisso che separa una “è” da una “e”. Oppure l'attenzione si accende quando cerco di far capire la differenza tra la sintassi italiana e quella latina; quando spiego di come in italiano la posizione delle parole sia importantissima per capire il senso di una frase, mentre in latino la posizione delle parole è solo una questione estetica e stilistica. Un esempio? Nella frase: «La maestra loda l'alunna», è chiarissimo a tutti che nella lingua italiana la maestra è il soggetto, cioè è lei a compiere l'azione di lodare l'alunna, che invece è il complemento oggetto. Se invece scrivessi: «L'alunna loda la maestra», il significato sarebbe diverso: stavolta sarebbe l'alunna a compiere l'azione di lodare la maestra. In latino «Magistra laudat discipulam» significa che la maestra loda l'alunna; ma a differenza che in italiano, in latino la frase ha lo stesso significato anche così: «Magistra discipulam laudat», o «Discipulam magistra laudat» o addirittura «Discipulam laudat magistra».

Quest'ultima combinazione, infatti, non significa affatto: «L'alunna loda la maestra», ma sempre «La maestra loda l'alunna», come del resto tutte le precedenti, perché la sintassi dei casi, e non la posizione delle parole, determina la loro funzione logica all'interno della frase. La cosa importante da guardare è la desinenza, ovvero la parte finale della parola. (...) Forse ho messo troppa carne al fuoco; ma volevo darvi solo un piccolo assaggio di quanto il latino possa accenderci di passione, se solo decidiamo di avvicinarci a questa lingua meravigliosa. Spero apprezzerete l'avventura di Scrúgulus che state per leggere. E io vi auguro che questo sia per voi il primo passo di una lunga serie nel meraviglioso universo della lingua di Virgilio, di Orazio, di Lucrezio, di Seneca, di Cicerone e compagnia bella.

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