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Non è l'arena, Giletti e il (vero) dramma di Fabrizio Corona, in diretta

Claudio Brigliadori

Nell'eterna Coroneide, Massimo Giletti ha scritto pagine importanti. Da confessore, quasi amico di Fabrizio Corona, a Non è l'arena su La7 ha mandato in onda di tutto: dalle confessioni pulp dal carcere, fino al ritorno in grande spolvero con contorno di gossip irriverenti e piccanti su questo o quel vip. Ma domenica sera forse ha realizzato il colpaccio documentando lo psicodramma (vero) dell'ex re dei paparazzi. Corona è stato bannato, di nuovo, dai social. Gli hanno chiuso la pagina Instagram, vetrina fondamentale per le sue imprese anche commerciali: un po' influencer un po' pirata (e molto poco signore), l'ex di Nina Moric e Belen si è ritrovato di colpo ammutolito. Letteralmente.

 

 

 

Nel fuorionda lo si vede sgranare gli occhi, controllare il telefonino e accasciarsi sulla poltrona: «C'ho sessantotto Whatsapp. È stata effettuata la disconnessione, accedi di nuovo», scandisce incredulo. Si alza, nervoso: «Non ci posso credere». Non gli resta che chiedere conferma della mannaia a un suo collaboratore, che al telefono balbetta: «Purtroppo... Tutto bloccato, aspettiamo. È verosimile che si siano messi d'accordo in cento per fare il ban... Cos' avevi pubblicato? La roba di Totti?».

 

 

 

Si agita insomma lo spauracchio del complotto, in un momento caldissimo come la telenovela del divorzio Totti-Blasi in cui Corona si è tuffato a capofitto. Dal punto di vista televisivo, il video rubato di Giletti è esilarante: siamo nel solco del "falso documentario", i mockumentary che hanno sbancato Hollywood una ventina di anni fa con film horror come Blair Witch Project o Cloverfield. In realtà, il primo a inventarseli è stato l'italianissimo Deodato con il cult Cannibal holocaust. Cos' è vero? Cos' è falso? Cosa è verosimile e cosa solo e soltanto showbusiness? Corona, in fondo, è tutto questo, parafrasando Rino Formica: sangue, merda, soldi e stories. Soprattutto quelle cancellate.