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Milan cinese, ecco i tre motivi per cui l'Uefa boccerà Yonghong Li

di Giulio Bucchi domenica 10 dicembre 2017

3' di lettura

La Legge di Murphy dice che se qualcosa può andar male, allora andrà male di sicuro. Un assioma, per certi versi ironico, che calza a pennello con il nuovo progetto imprenditoriale che riguarda il Milan. Operazione nata "storta", il prestito da 380 milioni complessivi da rimborsare entro il 15 ottobre 2018 al fondo Elliott, e che non riesce proprio a raddrizzarsi. Nel senso che sin dall' inizio Yonghong Li si è mosso in un sentiero molto stretto. L' obiettivo era aumentare i ricavi il prima possibile per respirare e invece non ne è andata diritta una. Serviva la sicurezza della Champions (che vale circa 50 milioni), ma a oggi si ha la certezza (a meno di miracoli) che i rossoneri saranno esclusi dalla prossima Coppa dei Campioni. Servivano segnali importanti dalle academies e dagli sponsor cinesi e invece i ricavi potenziali sono stati ridimensionati da 90 a 30 milioni per il 2018. Serviva un' inversione di rotta da Pechino con un via libera agli investimenti all' estero e invece la situazione è per certi versi peggiorata (tant' è che il flusso di denaro arrivato da Huarong si è interrotto). La legge di Murphy, appunto. Tant' è che bene presto la priorità è diventata ristrutturare il prestito contratto con Elliott. In sostanza, aumentare l' importo almeno a 400 milioni, ma soprattutto allungare la scadenza al 2023 in modo da non essere strozzati. Lo voleva la nuova dirigenza del Milan e soprattutto lo pretendeva l' Uefa. Che oggi si riunirà a Nyon per valutare (la risposta dovrebbe arrivare tra 7 giorni) la richiesta di voluntary agreement (piano di rientro senza sanzioni) di Fassone & C. Secondo quanto risulta a Libero, infatti, i guardiani del calcio europeo avrebbero già deciso di bocciare (la smentita di ieri sembra tanto di circostanza) la richiesta del club di via Aldo Rossi e dovranno aspettare la primavera per capire l' entità delle sanzioni (multa, rosa ridotta, blocco del mercato?). Motivi? L' incertezza (nonostante i nuovi documenti inviati dalla Cina) sulla situazione patrimoniale del patron Yonghong Li, sui ricavi in arrivo dalla Cina e soprattutto sul rifinanziamento del debito. La commissione guidata dall' ex primo ministro belga Yves Leterme chiedeva addirittura un precontratto (in gergo tecnico un term sheet vincolante) che garantisse il debito. Richieste che l' ad Fassone ieri ha definito «oggettivamente impossibili» da esauidire. Cosa vuol dire tutto questo? Che, al di là dell' ottimismo professato a piene mani dalla dirigenza rossonera l' operazione di allungamento del debito in ballo con il fondo speculativo Highbridge (Jp Morgan) è ancora a metà del guado (nella fase di controllo dei conti) e potrebbe richiedere più delle otto settimane (Fassone ieri si diceva fiducioso di poter chiudere «in primavera») dell' esclusiva. Del resto il nodo è sempre lo stesso: ristrutturare i 180 milioni prestati da Elliott alla Rossoneri Lux, la scatola con la quale Yonghong Li controlla il Milan. Su quei soldi c' è la garanzia del patrimonio dell' uomo d' affari di Hong Kong, che dopo l' inchiesta denigratoria del New York Times, non ha grande appeal nella comunità finanziaria. di Tobia De Stefano

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