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Roberto Mancini, la sua Italia è da record: zitto zitto, le cifre parlano per lui

di Davide Locano domenica 8 settembre 2019

3' di lettura

La rivoluzione di Roberto Mancini è più profonda di quanto suggeriscano i risultati. Perché quelli del Mancio sono tra i migliori della storia della nazionale azzurra, eppure non sono granché considerati. Rispetto al passato, dove l' opinione pubblica italiana badava alle vittorie più che al come si ottenevano, gli italiani tengono in considerazione il percorso di crescita della Nazionale e il gioco espresso. Si prenda la vittoria sull' Armenia: non è stata la migliore Italia del Mancio, ma ha vinto. E ha ipotecato la qualificazione a Euro 2020, soprattutto in caso di successo domani in Finlandia: quello che cercavamo dopo l' assenza dal Mondiale. Eppure, una larga fetta dei 60 milioni di ct sparsi nel Paese si è concentrata sul calo della qualità del gioco. Vuol dire che la sensibilità generale è migliorata, che si riconosce il processo di crescita e che c' è una richiesta diversa, cioè che l' Italia giochi con qualità, tecnica e mentalità offensiva. Non solo che vinca. Ecco la doppia rivoluzione di Mancini: sulla Nazionale e sul pubblico. Ha prima creato una squadra di rottura rispetto alla tradizione italiana, basata sulla tecnica, la qualità e il possesso piuttosto che sull' esperienza, la fisicità e le ripartenze. Sono principi che storicamente non ci appartengono, ma che oggi sembrano accettati, perfino richiesti. Così Mancio ha cambiato la visione di molti appassionati italiani che, aggrappandosi al dna della Nazionale, potevano faticare a comprendere il senso di questo percorso e fare ostruzione. SFIDA TOTALE Mancini, di fatto, ha sfidato un Paese intero. Ha saputo sfruttare la rassegnazione post-Ventura e la possibilità di giocare per quasi un anno senza l' obbligo di ottenere risultati: ha iniziato a maggio 2018, mentre le euro-qualificazioni sono cominciate a marzo 2019. Nel frattempo, ha comunque raccolto credito attraverso i risultati, soprattutto con i 5 successi in altrettante partite del girone. Nelle prime 14 gare da ct, Mancini ha raccolto 8 vittorie, 4 pari e 2 ko, meglio di tre ct campioni del mondo come Pozzo (7 vittorie, 2 pareggi, 5 sconfitte), Bearzot (7, 3, 4) e Lippi (7, 6, 1): è un buon segnale. Ma a Mancini non interessava, semmai voleva far capire all' Italia che i risultati non sono tutto: conta più la solidità del progetto. Ha mantenuto un profilo basso, al contrario di Ventura che partì con 9 vittorie, 3 pareggi e 2 sole sconfitte, e ribadiva spesso la bontà dei suoi risultati, ma non diede mai l' impressione di aver costruito un' impalcatura solida. E infatti la sua Italia finì per collassare. Mancini funziona anche perché rappresenta l' Italia che ha costruito. È infatti riconosciuto da sempre come un uomo alla moda, «un' icona dello stile italiano» secondo i tabloid britannici che lo descrivevano così ai tempi del City. Ed è l' immagine che la Nazionale azzurra non ha mai avuto. Mancio si è poi assunto la responsabilità totale dell' Italia. Ha dovuto perché fu ingaggiato da una federazione commissariata ma, anziché soffrire l' assenza di un governo, l' ha sfruttata assorbendo tutti gli oneri, oltre che gli onori, della gestione. STILE PERSONALE Così ha avuto spazio per cambiare anche il modo di gestire i giocatori, trasformando la Nazionale in un punto di partenza, oltre che di arrivo. In una rampa di lancio per i giovani talenti. Vanno ricordate le convocazioni precoci di Zaniolo e Kean, che non avevano minuti in A, ma anche l' immediata promozione a titolari di Chiesa e Barella, privi di esperienza internazionale. Mancio ha ribaltato un altro preconcetto, ovvero che la crescita dei calciatori debba avvenire nei club, e che la Nazionale sia solo il punto di approdo. Anziché lamentarsi dell' assenza di talenti, ha velocizzato la maturazione di quelli presenti. Ora è chiamato a valorizzarli, a trasformali in campioni al livello delle altre grandi nazionali, con cui ufficialmente non si è ancora confrontato, e che saranno la vera bilancia del proprio lavoro. di Claudio Savelli

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