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Romano Fenati, ora basta: dopo l'orrore a Misano non deve più correre

di Davide Locano martedì 11 settembre 2018
2' di lettura

Romani Fenati e Stefano Manzi si confrontano, si sportellano, a Misano si gioca in casa e nessuno ci sta a farsi mettere dietro, figurarsi quei due che l’anno prossimo correranno insieme in Moto2 nel nuovo team MV Agusta-Forward. Poi Manzi porta fuori pista Fenati che non ci vede più e, nel rettilineo successivo, a oltre 200 all’ora, tira la leva del freno del rivale, rischiando di farlo decollare con conseguenze immaginabili. “Giù la visiera, spegnete il cervello”, è uno dei detti famosi nel mondo delle corse: il problema è che Fenati lo deve aver lasciato nei box, il cervello. Non stiamo qui a fare retorica pelosa, a sintetizzare l’assurdità del gesto di Romano (uno che si fa il mazzo e spesso fa tardi nel paddock per aiutare a smontare) ci ha pensato Cal Cructhlow: «Il suo team avrebbe dovuto cacciarlo via a calci. Non deve più salire su una moto. Prima c’era stato un contatto, ma nelle corse succede e questo non lo giustifica». Il recidivo Fenati (nel 2015 in Argentina rifilò un calcio ad Ajo durante il warm up, due anni fa fu cacciato dal team di Rossi per una furibonda lite con Uccio Salucci) si è macchiato di un gesto che va oltre ogni scorrettezza, ogni anti-sportività: perché se regolare i conti in pista con una sportellata o con un sorpasso oltre il limite è da biasimare ma rientra comunque in un “codice non scritto” comprensibile, tirare la leva del freno altrui ha lo stesso valore di un calciatore che per reazione contro un avversario gli rompe sulla schiena la bandierina del calcio d’angolo. Leggi anche: Quando Valentino Rossi cacciò Romano Fenati E pensare che nel 2012, quando Romano vinse a Jerez in Moto3, si gridò all’arrivo di un nuovo Valentino. Fenati a 22 anni si è perso nelle curve dei risultati che non arrivano, adesso ha beccato due gare di squalifica: una sanzione ridicola, meritava di essere radiato, ma magari gli servirà per pensare e rendersi conto che da fenomeno delle piste rischia di diventare un fenomeno da baraccone. di Tommaso Lorenzini

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