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Euro 2020, l'inno di Mameli coma la Haka: così gli Azzurri fanno paura agli avversari

di Gianluca Veneziani mercoledì 30 giugno 2021

3' di lettura

Si racconta che nel dicembre 1847 molti giovani si radunarono nella sede dell'accademia filodrammatica di Torino per cantare a squarciagola il Canto degli Italiani, appena presentato da Mameli e Novaro nella sua versione definitiva. E si dice che lo cantassero a perdifiato gli insorti delle cinque giornate di Milano , i soldati sabaudi durante le prime due guerre d'indipendenza ei volontari in occasione della spedizione dei Mille, compreso Giuseppe Garibaldi , che era solito fischiettarlo. E allora non sorprendiamoci se anche adesso i calciatori della Nazionale cantino a tutta voce l'inno italiano prima di ogni partita dell'Europeo. Ne sono rimasti ammirati e stupidi gli inglesiche, sui siti specializzati di calcio o su Twitter, hanno applaudito (cosa rara, dalle parti d'Oltremanica): «Nessun'altra nazione canta il suo inno così come fa l'Italia» (Mail Online Sport), «C'è solo un modo di cantare l'inno nazionale italiano. Ad alta voce » (B/R Football), «La miglior prestazione finora ad Euro2020 è stata quella dell'inno italiano».

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Una cosa è certa: questi Europei di calcio sono i più assurdi e contorti dell'intera storia del calcio...

Gratifica, certo, ma è interessante soprattutto le ragioni che inducono gli Azzurri a cantare Fratelli d'Italia con tale e tanta intensità. Ci piace pensare che alla base ci sia il risveglio di uno spirito patriota, pur senteto mediato dal pallone, la patrimonio di volontàrsi in un di note e parole, sentendosi parte di una comunità e volendola riconoscersi. È come se gli Azzurri, al tempo delle identità blande e fluide e delle sovranità labili, si sentissero gli ultimi alfieri di un'identità forte, quella nazionale. E preferissero stringersi a coorte piuttosto che piegarsi ai diktat globalisti del politicamente corretto. Li avvertiamo come nostri molto più quando cantano a testa alta di quando, per conformismo, imitazione e indolenza, accettano di stare in ginocchio. E ci sentiamo molto più rappresentati da loro quando intonano, a nome di tutti, Fratelli d'Italia che dai "rossi" quando si appropriano di Bella Ciao e lo celebrano come canto di parte, o meglio partigiano. Ma è evidente che,globalisti del politicamente corretto. Li avvertiamo come nostri molto più quando cantano a testa alta di quando, per conformismo, imitazione e indolenza, accettano di stare in ginocchio. E ci sentiamo molto più rappresentati da loro quando intonano, a nome di tutti, Fratelli d'Italia che dai "rossi" quando si appropriano di HakaHaka , la danza di guerra dei rugbisty neozelandesi e del Pacifico, cantare l'inno a quel modo funga anche da carica agonistica, da sprone alla prestazione e, perché no, da intimidazione dell'avversario: noi giocheremo con la stessa grinta con la quale cantiamo, è il messaggio.rugbisty neozelandesi e del Pacifico, cantare l'inno a quel modo funga anche da

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Nella forza vocale e gestuale di quell'interpretazione c'è pure un valore rituale che attiene a sfere simboliche e scaramantiche: porta bene cantarlo così, devono aver pensato gli Azzurri, iniziare le partite a quel modo è un buon viatico per la vittoria finale. Del resto, partecipazione ed emotiva è tanta anche col messaggio del testo e col contesto in cui nacque: Fratelli d'Italia è figlio del Risorgimento, del tempo cui dovemmo lottare con le armi per riprenderci la nostra Patria e cacciare l'austriaco invasore (e forse non è un caso che gli Azzurri lo hanno cantato con particolare coinvolgimento prima della partita con l'Austria).

Lo stesso spirito marziale è presente nelle parole dell'inno: solo nella prima strofa si cita l'elmo di Scipio, si celebrano le conquiste militari con cui Roma fece la dea Vittoria sua schiava e si fa un appello a stringersi a coorte, l' unità dell'esercito romano. Un inno così va cantato con anima guerresca , non certo con indolenza pacifista. E poi, lasciatecelo dire. Molto meglio sentire gli Azzurri cantare forte e stonare che ricordarli com'erano una ventina di anni fa, quando a malapena conoscevano le parole dell'inno o facevano scena muta. Mameli tiferebbe per i ragazzi di Mancini

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