Perfetto?

Inter, anche il City di Guardiola ha dei difetti: ecco come sfruttarli

Claudio Savelli

Alla finale di Champions League mancano più di tre settimane. Tante, in un mondo veloce come il calcio. Tutto può cambiare - infortuni, stato di forma dei giocatori, risultati, emozioni, umore da ora al prossimo 10 giugno, ma le due finaliste possono già cominciare a studiarsi a vicenda: il Manchester City, per bocca di Guardiola («Incontrare un’italiana in finale non è il massimo»), ha già espresso il massimo rispetto per l’Inter, la quale non può fare altro che identificare i pochi punti deboli dei dominatori d’Inghilterra per controbilanciare il nettissimo sfavore dei pronostici. I nerazzurri contano due lati positivi dell’incontrare l’armata-Pep in finale. Il primo è che per l’appunto si tratta di una finale. Una gara secca in campo neutro è il formato che più appiattisce le differenze e lascia spazio al caso, all’episodio, all’incontrollabile, ovvero ciò che Guardiola teme di più.

CONTRO IL CHELSEA 
Nel precedente di due anni fa contro il Chelsea, il City perse 1-0, e i Blues di Tuchel si disponevano con la difesa a tre. Il mister catalano non seppe trovare contromisure in diretta, non riuscì ad improvvisare una virata verso una strategia alternativa, né contenere l’emozione dei suoi. Ora la squadra è più matura e pronta ad affrontare una finale proprio perché è passata da quella sconfitta, ma non si può pensare di vincere una Champions senza battere la squadra migliore. Il secondo aspetto positivo è che il Manchester City sarà favorito e l’Inter si è esaltata in stagione quando è stata nettamente sfavorita. Guardiola ha cambiato la squadra dopo il ko del 5 febbraio contro il Tottenham (1-0): il 4-4-2 o 4-2-3-1 non funzionava più, quindi via alla rivoluzione. Da quel momento non ha più perso una partita e in Premier ha solo vinto, al netto di un pareggio con Nottingham (1-1, 18 febbraio).

È così fresco e inedito il nuovo modulo dei Citizens che nessuno ne ha ancora trovato le contromisure. Trattasi di un 3-2-4-1 senza terzini né esterni a tutta fascia. La novità consiste nello schierare contemporaneamente quattro centrali di difesa, di cui uno, Stones, avanzato al fianco di un mediano puro, Rodri. Dietro non si può rinunciare a Dias al centro affiancato da Akanji e Aké (al momento infortunato) o Walker, ormai trasformatosi in centrale. Dal punto di vista tattico, il punto debole è lo spazio dietro le ali, Grealish e Bernardo Silva, che è vuoto a meno di loro ripiegamenti difensivi. Lì corrono Dumfries e Dimarco, che dovranno avere coraggio e paradossalmente cercare di difendere il meno possibile, o le mezzali Barella e Mkhitaryan o Calhanoglu che hanno già abbozzato questi movimenti contro il Milan in semifinale.

Altra variabile: l’attacco a due punte dell’Inter. Il Manchester City non è abituato ad affrontare una coppia di centravanti, in Premier non la usa praticamente nessuno. Ruben Dias, il centrale-marcatore, prende in consegna la punta avversaria in un costante uno-contro-uno, da cui esce vincitore per abilità personali, mentre i due ai suoi fianchi si occupano delle ali offensive. Mai è capitato di fronteggiare due attaccanti vicini quindi Guardiola dovrà per forza di cose rivedere qualcosa, abbassando Stones più spesso o obbligando Akanji o Walker a stringersi, lasciando così qualche metro sugli esterni. Si torna a Dimarco e Dumfries e chissà se pure a Inzaghi tutto torna. L’Inter è sfavorita, ma tutt’altro che sconfitta in partenza.