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Jannik Sinner, il retroscena: "Quando se l'è legata al dito", perché ha battuto Djokovic

di Leonardo Iannacci mercoledì 29 novembre 2023

3' di lettura

Tutto cominciò nel 2014 con Riccardo Piatti. Jannik era un 13enne di San Candido ancora incerto se dedicarsi allo sci o al tennis e il maestro ligure lo trascinò a Bordighera per iniziarlo al mondo professionistico. L’ascesa iniziò allora e fu verticale. Da due anni, però, il giovane sciamano della Coppa Davis, il ragazzo dai capelli rossi che stupisce il mondo e trascina con le sue imprese 6 milioni di italiani davanti alla tv (questo il dato d’ascolto Rai durante la finale di domenica contro l’Australia), ha salutato Piatti e si è affidato a uno staff che pare un’azienda sportiva dove gli allenatori sono il guru australiano Darren Cahill, che ha portato in cima al mondo fuoriclasse del calibro di Agassi, Murray e Simona Halep, e Simone Vagnozzi. Marchigiano di Ascoli Piceno, ex tennista da challenger, 40enne, minuto di statura e con un cappellino stile Sinner in testa, Simone ha fatto un lavoro egregio accompagnando il ragazzo al numero 4 del mondo, alla finale nel Master torinese e al trionfo in Davis.

Ci racconta: «Ho cominciato a lavorare con Jannik e tutti mi guardavano male quando dicevo che poteva arrivare al livello di Alcaraz. Storcevano il naso, invece lui si è avvicinato molto a Carlitos e, poi, ha battuto non una ma due volte Medvedev e Djokovic. Non un caso, quindi, solo la conferma che il tennis di Sinner è salito e sta migliorando giorno dopo giorno». L’ascesa nel ranking degli ultimi quattro anni è stata impetuosa: già sotto la guida di Piatti era passato dal numero 551 del 2018 al 37 del 2020. Poi, il passaggio a Vagnozzi-Cahill ha visto Jannik al numero 10 nel 2021 e al 4 quest’anno.

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Battere giocatori che sono costantemente nei top 5 è stata la riprova dell’eccelso lavoro che Vagnozzi sta facendo, insieme a Cahill, sui colpi un tempo meno forti di Sinner, ovvero voleè e servizio: «Quando tutti dicevano che non era in grado di battere Nole o il russo, forse Jannik se l’è legata al dito. È stato il lavoro degli ultimi mesi a funzionare e, con quello, la sinergia che ha creato con tutto il nostro staff. Jannik crede pienamente in chi gli sta attorno». Negli ultimi mesi i risultati ottenuti sono stati un crescendo inatteso: «Il suo tennis è un puzzle e i margini di progresso sono stati evidenti nel fisico e nella resistenza. Ma anche nella mente. I grandi campioni, come lo è Djokovic e come lo sono stati Federer e Nadal, curano tutti questi aspetti e noi cerchiamo di imitarli in questo». Non sembra più avere difetti, Sinner, anche se Vagnozzi si lascia scappare: «Jannik è un agonista e ama giocare, ama il tennis mentre nel lavoro in palestra sbuffa un po’, pur assicurando grande disponibilità perché ha capito che soltanto con questi sforzi può migliorare». Il futuro, ovvero il 2024, offre un unico obiettivo a Sinner e Vagnozzi non ha dubbi: «Abbiamo in mente che deve perfezionarsi nei match tre set su cinque, lì le cose non sono andate così bene come in Davis o nei 1000. Ci sono state partite particolari, quelle con Alcaraz e con Zverev a Flushing Meadows. Ma sono certo di una cosa: l’anno prossimo farà bene, e molto, anche negli Slam».

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