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Milan, dove è iniziato tutto: l'occasione unica, cosa può accadere

di Claudio Savelli giovedì 22 maggio 2025

3' di lettura

Un anno senza competizioni europee fa male al bilancio ma può fare bene al club. Lo dimostra (ma non a sé stesso) il Milan. Annata 2019/20, la squadra è in realtà qualificata all’Europa League in quanto quinta classificata nella stagione precedente, ma verrà estromessa dalla Uefa per aver violato il fair play finanziario durante i trienni 2014-2017 e 2015-2018. La sentenza arriva a fine giugno ma era già nell’aria, la società era stata avvisata e ha modo di organizzarsi per tempo. Scatta la rivoluzione societaria, che poi è quella che farà la differenza negli anni seguenti e che stavolta, invece, non ci sarà: bene inserire il direttore sportivo (Tare) ma difficilmente basterà per curare tutti i mali.

Torniamo all’estate 2019. Il direttore generale dell’area tecnico-sportiva Leonardo si dimette perché in disaccordo con i piani del nuovo azionista Elliott e, dopo un solo annodi gestione (era tornato al Milan e farà ritorno quell’estate al Psg), lascia un vuoto che viene colmato da due persone. Non una ma due totem del milanismo, uno promosso e uno ingaggiato da fuori: Paolo Maldini (arrivato un anno prima) e Zvonimir Boban. Praticamente due direttori tecnici che lavorano insieme. Manca il direttore sportivo, uno che conosca il mercato e possa condurre trattative, e non è scontato che due neodirettori si rendano conto subito di questa esigenza. Furlani, per dire, ci ha messo due anni. Una decina di giorni (non mesi: giorni) dopo viene annunciato come ds Massara, per anni al fianco di Walter Sabatini e in arrivo dalla Roma dove aveva preso il posto di Monchi.

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TRIANGOLO FORTUNATO
Il triangolo che farà la fortuna del Milan è questo: due totem del passato dal carattere forte e riconosciuti dal pubblico rossonero e un direttore sportivo rampante ma già navigato nella serie A di alto livello (anche l’Inter nel passato di Massara). A questa rivoluzione strategica segue una rivoluzione tecnica che fallirà a stretto giro. Al posto di Gattuso viene infatti scelto Giampaolo, reduce da anni d’oro alla Sampdoria. Ma il feeling non scatta: il mister non viene capito dai giocatori e dal pubblico e viceversa. La dirigenza si dimostra reattiva nell’ammettere l’errore e nel cambiare, altra cosa che quest’anno non è accaduta perché per esonerare Fonseca ci è voluta qualche gara di troppo, visto il clima di scetticismo già chiaro a tutti i livelli. Giampaolo colleziona quattro sconfitte nelle prime sei giornate e firma la peggior partenza degli ultimi 81 anni, così il 9 ottobre (il 9 ottobre) viene annunciato Stefano Pioli. Che parte male a sua volta, 5 punti nelle prime 6 gare, e rimedia la storica sconfitta 0-5 in casa dell’Atalanta (la peggiore in campionato dal 1998) che chiude l’anno, ma viene protetto, aspettato e... ascoltato. Il tecnico fa notare che servono dei leader a questa squadra giovane e naïf, e viene accontentato nei primi giorni di mercato con due operazioni che un fondo proprietario come Elliott solitamente nega: arrivano Ibrahimovic e Kjaer in netta fase calante ma nelle vesti di sacerdoti dello spogliatoio. E tutto cambia.

SECONDA PARTE
La seconda parte di stagione diventa propedeutica a quella successiva. Il Milan risale fino al sesto posto ma capisce che il giocattolo funziona. Leao, Bennacer, Kessié e Theo erano già arrivati, l’estate seguente sarebbe stata quella di Saelemaekers, Kalulu, Brahim Diaz e Tonali che stecca il primo anno ma il Milan arriva comunque secondo. Le basi dello scudetto della stagione successiva. Dallo zero senza Europa al tricolore in tre annate facendo una rivoluzione nella dirigenza e investimenti mirati in campo e dando continuità in panchina. Questa è la soluzione. Ma questo Milan non sembra volersi ispirare alla sua nemesi.

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