È stato avvisato a Monte Carlo, a Roma, a Torino, a Milano, nella sua Livorno. Segnalato sui social come se fosse un ricercato, e in effetti lo è. Max Allegri è ovunque, uno e trino. E tutti lo vogliono, nonostante tutto. È il primo nome delle prime della classe, Napoli e Inter, qualora Conte andasse alla Juve e Inzaghi preferisse interrompere il ciclo nerazzurro (probabile il primo, meno il secondo), ed è uno dei nomi scritti da Ranieri nella lista per la Roma e da Tare per il Milan che verrà. Allegri è nuovamente e misteriosamente buono per i progetti da tenere in piedi e per quelli da riavviare. Buono per tutti. Sta andando come era andata tre anni fa. Il calcio fa a meno di Allegri ma poi sente l’esigenza di richiamarlo.
E lui gode come un matto perché è come dargli ragione dopo avergli dato contro. Allora la domanda diventa inevitabile: perché lui, ancora lui, nonostante tutto? Viene da un addio burrascoso con la Juventus con quella lite a cielo aperto contro Giuntoli che potrà anche essere il cattivo della storia, ma non si fa così. Il primo allenatore a essere esonerato «per comportamenti non idonei ai valori della società». In quel momento sembrava aver firmato la sua condanna all’anonimato professionale e invece quell’episodio è caduto in prescrizione. Dimenticato. Perdonato.
È curioso notare come i suoi anni sabbatici siano propedeutici al rientro nel grande giro. Altri soffrono e rischiano, se stanno fuori troppo a lungo. Vedi Conte, proprio lui che è rientrato accettando il Napoli per mancanza di alternative, al contrario di Max che ha la coda dietro la porta. Questo perché alcune cose sembrano rispettare la sua profezia. La più evidente è il fallimento della Juventus di Thiago Motta e quindi di Giuntoli che gli ha restituito credibilità. È scattata la rivalutazione del suo triennio. In quel caos tecnico, societario, comunicativo, Allegri ha mantenuto un’aura di sopravvivenza. Ha protetto la squadra più di quanto non l’abbia allenata.
Giocava male, ma in fin dei conti era andata più in alto rispetto a quella di quest’anno: quarta, terza (poi penalizzata fino al settimo posto), quarta a pari merito con il Bologna proprio di Thiago Motta a due giornate dalla fine, quando arrivò l’esonero, e Coppa Italia a dare una spolverata alla bacheca del club. Un trofeo minore e tre piazzamenti. Sembrava un totale fallimento perché c’era ancora l’idea della Juventus che deve vincere per forza ma ora la percezione è cambiata, anche perché nel frattempo sta cambiando l’importanza del piazzamento rispetto al trofeo. I club ora hanno dannato bisogno dei soldi (50-60 milioni) della nuova Champions, quindi di essere costantemente al top anche negli anni di difficoltà, esattamente ciò che è riuscito a fare Allegri in quel triennio.
Verosimile che De Laurentiis gli possa offrire 6 milioni netti all’anno più 2 di bonus perché è più o meno il contratto da cui uscirebbe in caso di addio di Conte. Varrebbe lo stesso per l’Inter in caso di divorzio da Inzaghi. Anche i Friedkin con Mourinho arrivarono a cifre simili. E il Milan forse ha imparato a non lesinare sul tecnico. Sembra che Allegri sia passato dall’imbarazzo all’imbarazzo della scelta.