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Psg-Inter, rumors: cosa ossessiona Lautaro Martinez

di Claudoa Savelli venerdì 30 maggio 2025

3' di lettura

Lautaro Martinez è tra i primi a sfilare davanti alla social media manager dell’Inter per entrare sul campo di allenamento. Una scena quotidiana, ma stavolta c’è qualcosa di diverso. La maglia dentro i pantaloncini? Sì, ma non è quella. La barba di un paio di giorni, come se non avesse tempo di radersi o come se fosse in assetto da battaglia? Sì, ma non è quella. È la faccia. Lautaro ci sta mettendo la faccia giusta.

Concentrata, cattiva, pronta. Lautaro Martinez non sa se quella di sabato sarà l’ultima occasione di vincere la Champions League, ma la sta approcciando come se lo fosse. Ha imparato da solo questo avvicinamento perché quando è arrivato a Milano, nel 2018, la squadra lottava per il quarto posto, non per entrare nella storia. C’era da ricostruire e solitamente è il contesto in cui i giovani piovuti da un altro mondo come Lautaro si bruciano o comunque non evolvono. Invece il Toro ha fatto da sé, imparando a perdere le finali prima che a vincerle: Europa League nel 2020 con Conte in panchina e Champions nel 2023 con Inzaghi. Nel frattempo le giocava e apprezzava il sapore del successo con l’Argentina: Coppa America nel 2021 e nel 2024 e Mondiale nel 2022. È diventata un’ossessione buona, una sana sete di vittoria.

RUOLO
Nel frattempo cambiato ruolo. Da riserva (primo anno con Spalletti, come era naturale che fosse) a sparring partner, da titolare a leader. Quello di Lautaro è stato un percorso di crescita personale perfetto e in anticipo rispetto ai tempi naturali perché aveva fretta di imporsi, tipico di chi ha fame di vittorie. Così ha sviluppato una mentalità vincente prima che lo facesse l’Inter. E alla fine ha trascinato l’Inter nella sua mentalità. Che poi è quella che si legge sulla sua faccia. E si ascolta nelle sue parole al media day: «Voglio vincere con tutto il cuore» e «Ci arriviamo con un po’ più di esperienza rispetto a Istanbul». Ecco, Istanbul. Una sconfitta da cui è nata la vittoria della seconda stella. Così come dalla sconfitta di questo scudetto («Non mi piace perdere e quando succede sto male alcuni giorni») potrebbe nascere... Lo insegna il Milan che dopo Istanbul c’è sempre Atene.

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Lautaro arriva a questa finale dopo due settimane di terapia e una stagione che lo ha messo alla prova fisicamente più di altre. Il motivo è quella vacanza di inizio anno tagliata per amor di Inter e di conseguenza una preparazione estiva non eseguita. È l’anno in cui Lautaro ha giocato spesso su una gamba sola. Nel ritorno con il Barcellona, letteralmente. «Ho passato due giorni a piangere a casa. Il dolore era fortissimo, non riuscivo nemmeno a sollevare la gamba». Su una gamba, gol e rigore procurato. E con il Bayern, pure: gol decisivi e foto iconiche. Aura di un capitano che si pone in linea di continuità con Javier Zanetti. L’argentina nerazzurra che alza quel trofeo. Lautaro non crede nel destino, semmai nel lavoro, nel sacrificio, nella fatica, ma un pensiero fugace in questi giorni lo avrà buttato lì, magari incrociando lo sguardo del suo vicepresidente.

Lautaro ha già vinto tutto tranne lei, la Champions che da un lato non sposterebbe nulla nella considerazione che bisognerebbe avere di lui ma dall’altro sposterebbe tantissimo, riavvicinandolo al Pallone d’Oro. In questi giorni si è allenato bene, al massimo. È pronto. Lo era già per Como a dir la verità ma si è deciso di non rischiarlo, data la situazione-scudetto. L’obiettivo era ed è una finale che merita di vederlo protagonista assoluto, essendolo stato per tutta la Champions.

Mai aveva reso così: 13 presenze, 9 gol e 2 assist ma - attenzione concentrati nel 59% di minuti complessivi disputati. Fa un gol ogni 85’ in Champions. Sommando gli assist, un contributo decisivo ogni 70’. Sabato ne avrà a disposizione oltre 90. La matematica non è un’opinione. E non lo è nemmeno quella faccia. La faccia di Lautaro Martinez.

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