Se Spalletti avesse a cuore l’Italia come dice, rassegnerebbe le dimissioni. Un atto difficile dato che siamo il popolo dei poltronari ma doveroso. Spalletti strapperebbe il più grande applauso della sua esperienza in Nazionale. Probabilmente l’unico, se le premesse del girone di qualificazione ai Mondiali sono queste. Ne uscirebbe con dignità e soprattutto darebbe una speranza di evitare un disastro.
L’Italia è di livello basso, questo è chiaro. Almeno quattro giocatori della Norvegia sono più forti di tutti i nostri, escludendo il portiere che però non può fare la differenza nelle imbarcate. Non è chiaro che l’Italia, per via di questo suo livello, è costretta a essere profondamente e fortemente squadra. Con Spalletti non lo è mai stata. Non c’è sintonia, evidentemente. Forse il mestiere del ct non fa per uno che ha dimostrato di essere un autentico allenatore. È capitato con Ventura e Mancini, sta succedendo di nuovo con Spalletti che insiste sulla difesa a tre pur non avendone gli interpreti. Fissazioni in ritardo.
Doveva utilizzarla all’Europeo, se ne è accorto dopo e la usa ora che dovrebbe invece giocare a quattro. La storia del ct che non si dimette nonostante l’Italia stia affondando si sta ripetendo. E di nuovo il presidente federale non rimedia con l’esonero. È paradossale che questa pratica così diffusa nel nostro calcio non venga contemplata dalla nostra federazione. È uno strumento: perché non viene usato al bisogno? C’è una totale incapacità di intervenire quando le cose non vanno. Si deve sempre arrivare a perdere il Mondiale per accorgersi che forse qualcosa non funzionava e accusarsi a vicenda. Il passato non insegna, noi non impariamo. Anzi, loro non imparano.