Gira quell’immagine lì, quella col tabellone che segna 6-4 7-6 5-3 0/40, che ci fa grattare come puntura di zanzara tigre. Tre match point che non si traducono in point e il resto della faccenda la conoscete già. Vien voglia di abbracciare Jannik Sinner, infine sconfitto dallo spagnolo Carlos Alcaraz, il tamarro di Murcia baciato da iddio del tennis che si esalta con il pubblico e ganasseggia come pochi. E quello, il pubblico francese, lo sostiene, vede in lui l’erede di Nadal e tira virtuali coltellate a noialtri italiani, roba che ti verrebbe voglia di litigarci, coi francesi, anche solo per la sofferenza che hanno inflitto alla signora Siglinde, mamma di Jannik che più la inquadravano e più sembrava dire «non ce la faccio più, col cavolo che ci casco la prossima volta».
Ma la lezione - ancora una volta - arriva direttamente dallo sconfitto, Re Jannik, numero 1 al mondo mica per niente. Mantiene il controllo per tutte le 5 ore e 29 minuti del match (la finale più lunga di sempre al Roland Garros), perde un minimo la pazienza quando il giudice di sedia non si accorge che un servizio di Carlitos nel quinto set è lungo di una spanna, ma si ricompone subito e mantiene calma olimpica anche a partita finita. L’autocontrollo è la sua più grande qualità, l’aspetto in cui può insegnare a tutti e che gli permetterà di diventare Santo in vita (San-to su-bi-to!).
Sono altre, semmai, le cose che non ci aspettavamo e che al netto dell’amarezza ci consegnano un Sinner, se possibile, ancora più forte di prima. I 5 set di una finale che è già storia raccontano che Jannik è cresciuto, e molto, anche dal punto di vista fisico, ha retto fino in fondo e si è arreso solo a un Alcaraz che nel super tie break è parso davvero “marziano”. E poi c’è altro, l’idea di un Sinner che ha azzerato le distanze col principe della terra. La finale di Roma aveva messo un divario che sembrava non così facilmente colmabile, quella di Parigi racconta di due campioni che combattono punto a punto anche sulla superficie più favorevole allo spagnolo (193 a 192 i punti totali a favore dell’italiano). Tutto questo non si può dire quando parliamo di cemento, laddove Jannik attualmente non ha rivali. Vedremo quel che accadrà a Wimbledon, sull’erba che un anno fa ha incoronato il numero 2 e, invece, non ha ancora regalato gioie al nostro.
Ebbene, tutta ’sta sviolinata può farci dimenticare il fetentissimo 6-4 7-6 5-3 0/40? Neanche un po’, pesa sullo stomaco di tutti i tifosi della Volpe e fatica ad andarsene, ma è mitigato dalla certezza che la rivincita è dietro l’angolo e dal fatto che il ragazzo ha tutti gli strumenti per neutralizzare l’acidità. Uno su tutti? Il suo coach, Simone Vagnozzi, che all’indomani del match apre Instagram e scrive così: «Fa male. Ma sono queste le partite che ti forgiano, che definiscono chi sei. Chi ti vive tutti i giorni sa cosa c’è dietro ogni colpo, ogni scatto, ogni salto, ogni pugno: una dedizione totale. Ieri hai mostrato al mondo non solo il tuo tennis, ma anche un cuore e una resilienza da n° 1. Il Paese è fiero di te, e io lo sono ancora di più». E ancora: «Essere al tuo fianco non è solo un onore, ma una responsabilità che porto con fierezza. Questa storica partita ti renderà ancora più forte». Lo pensiamo tutti. E grazie ancora per ’ste 5 ore e 29 minuti di puro spettacolo.