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Il Ct, un mestiere che non vuole più fare nessuno

L'allenatore della nazionale non è più “l’eletto” ma quello che accetta di raccogliere la patata bollente e, quasi certamente, è destinato al fallimento
di Fabrizio Biasin mercoledì 11 giugno 2025

2' di lettura

«Cosa vuoi fare da grande?». Il bimbo visionario risponde «L’astronauta». Il bimbo obbligato dalla madre risponde «Il primario di ortopedia». Il bimbo avido risponde «Il benzinaio». Il bimbo normale risponde «Il calciatore». Poi ognuno di questi bimbi cresce, affronta i suoi fallimenti, non fa l’astronauta, non fa il primario di ortopedia, non fa il calciatore, se per caso fa il benzinaio scopre ben presto che i portafogli sono gonfi di soldi che però vanno ai petrolieri e, infine, incattivito, sceglie un’altra strada: «Voglio essere uno dei 60 milioni di ct». Quello del ct del calcio, in effetti, è stato da sempre un mestiere molto ambito e raro (lo fa solo uno per nazione) al punto che l’eletto di turno è sempre descritto come un essere superiore. Bearzot, Vicini, Zoff, Sacchi, Trapattoni, Maldini fino a quelli più recenti, hanno sempre avuto l’aura delle persone importanti al livello del Presidente della Repubblica o del Papa. Ma ora è tutto cambiato.

Fino a qualche tempo fa non ci sarebbe stato un essere umano senziente che di fronte alla proposta («vuoi fare il Commissario Tecnico della Nazionale italiana di calcio?») avrebbe tentennato anche solo un secondo. La risposta sarebbe stata «Sì» senza condizioni e «pagatemi quello che volete». I motivi non vanno nemmeno spiegati e passano dal prestigio di cui sopra fino all’evidenza di un mestiere che magari ti condanna all’insulto ma ti lascia anche un sacco di tempo libero per grattarti la panza.

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Oggi invece arrivano i “no” uno dietro l’altro e sono tutti ben motivati («Ho già un impegno...»), ma chiariscono anche cosa vuol dire salire sul carrozzone azzurro nell’era della Nazionale meno empatica da quando esiste la Nazionale. Il ct non è più “l’eletto” ma quello che accetta di raccogliere la patata bollente e, quasi certamente, è destinato al fallimento. Un tempo guidare l’Italia significava poter sognare in grande («Magari vinco il Mondiale») ora vuol dire fare gli incubi («Magari perdo contro la Transnistria»). E gli incubi non li vuole fare nessuno, tranne Gravina (che però non fa il ct).

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