Cosa c’è davvero dietro la leggera zoppìa mostrata da Jannik Sinner nel corso del match fragorosamente perso contro Alexander Bublik sull’erba di Halle? Forse non solo un dolore fisico, ma un riflesso della fatica mentale e del carico emotivo che accompagna il numero uno del tennis mondiale. Lo suggerisce Mauro Berruto, ex ct della Nazionale di pallavolo, parlando con Repubblica.
Non solo Berruto. Al quotidiano dice la sua anche Valter Durigon, docente al Dipartimento di Neuroscienze, Biomedicina e Movimento dell’Università di Verona e in passato preparatore di Alberto Tomba. Durigon invita a distinguere tra i due profili: Tomba, “che prendeva tutto alla leggera”, e Sinner, “che fa bene a resettare, ma non deve cancellare le emozioni: vanno affrontate”. Secondo lo il docente, il pericolo è lasciarsi invadere da pensieri negativi, “che ristagnano e diventano una palude: più ti muovi, più affondi”. Da qui l’invito a ritrovare leggerezza, concentrarsi sugli aspetti tecnici, evitare di “riaprire quella porta” che Sinner sembrava essersi chiuso alle spalle.
Dunque, eccoci all'affascinante teoria di Berruto, che da tifoso ricorda, metaforicamente parlando, lo “zaino di pietre” che Jannik ha portato con sé anche durante la vicenda Wada. “Ha digiunato per mesi, poi si è trovato a un banchetto di emozioni: Roma, il Papa, il Foro Italico, Parigi. È umano che il corpo reagisca”. E quella zoppìa? “Tanti atleti compiono gesti istintivi, quasi a cercare inconsciamente una giustificazione”, spiega Berruto. Già, anche Jannik Sinner è un essere umano. Oltre che il numero al mondo.