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Wimbledon, la classe inglese rende il torneo unico in tutto il mondo

Le ragioni per le quali resiste il mito del tennis britannico. E il bianco accostato al verde è già di per sé un enorme punto di partenza
di Fabrizio Biasin domenica 13 luglio 2025

3' di lettura

Il bianco accostato al verde è già di per sé un enorme punto di partenza: rilassa, mette pace, spedisce all’istante le tue sinapsi in aperta campagna, soprattutto se il verde è quello dell’erba inglese e il bianco fa riferimento ai panni da lavoro, immacolati e perfetti per l’estate. E stiamo parlando di Wimbledon, il torneo più antico del mondo, quello più rispettato, ultimo baluardo della tradizione, laddove i buzzurri faticano a permeare, le ideologie estreme pure e il tentativo globale e insistente di uniformare qualunque cosa sbatte contro la cancellata dell’All England Lawn Tennis and Croquet Club. Solo bianco e verde, erba e classe, tradizione e regole ferree, sobrietà e rispetto. E se per caso provi a modificare lo status quo stai tranquillo che verrai indicato come persona non gradita, piaccia o non piaccia.

Wimbledon è sport, ma anche resistenza, quella di chi non sopporta un certo tipo di deriva caciarona e insopportabile. Possono cambiare i giocatori, non i capisaldi del torneo. I Federer e Nadal lasceranno posto ai Sinner e Alcaraz, ma i secondi come i primi dovranno fare a meno di completi sgargianti e altre porcherie: gli sponsor - of course sono avvisati. E sempre e per sempre - dalla prima edizione del 1877 a quella che va a terminare oggi pomeriggio al Centre Court - il verde dell’erba del lunedì lascerà inesorabilmente spazio al beige del terriccio degli ultimi giorni, ché il prato si consuma ad ogni “15” e funziona da cartina di tornasole: il campo è verdissimo? Primo turno. Campo di battaglia? Semifinale o finale.

E sempre potrai mangiare le fragole con la panna, rigorosamente liquida (“strawberries and cream”). E mai potrai utilizzare il telefonino a sproposito per fare il selfie da mandare “ammiocuggino”. E sempre potrai ascoltare Sir e Madame parlare in inglese strettissimo, incomprensibilissimo ed elegantissimo. E mai potrai sentire al cambio palla il tamarro che si alza e “po-po-po-po-po-poropoooo!” (e gli altri in coro: “Oléééééé!”). E sempre i tifosi faranno il tifo per il giocatore prediletto nel rispetto totale dell’avversario. E mai si metteranno a fare casino tra una prima e una seconda di servizio. E sempre i responsabili metteranno a disposizione ombrelli, ché prima o poi la pioggia è destinata ad arrivare anche nell’era del clima pazzerello. E mai - complice la sterlina - i prezzi diventeranno popolari (sigh).

E ad accoglierti all’alba troverai i preziosissimi falchi, chiamati a proteggere i campi dai piccioni scagazzanti (dal 2007 domina incontrastato tal Rufus). E sai già che in presenza del Re o del Principe di Galles il tennista di turno dovrà inchinarsi di fronte alla tribuna centrale. E solo poche cose sono cambiate nel tempo: il “Never on Sunday”, ovvero l’impossibilità di giocare la domenica, diventata nel tempo “possibilità” per mere questioni di quattrini e diritti tv; ma anche l’inevitabile messa alla berlina di taluni sconsiderati spettatori che in assenza di copertura mediatica “a tappeto” riuscivano a farsi i fatti loro ma, ora, vengono dati in pasto al pubblico mondiale mentre schiacciano un pisolino come recentemente capitato all’inviato del noto settimanale “Cavalli & Segugi”, tal Hugh Grant.

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