Non è bastato che l’Itia avesse riconosciuto l’origine involontaria del Clostebol, che il tribunale indipendente di Sports Resolutions avesse escluso colpa o negligenza e che la Wada avesse infine concordato una sospensione ridotta di tre mesi, ammettendo che Jannik Sinner non avesse alcuna intenzione di barare. Per certa stampa inglese, il caso resta aperto. Oggi il Times ha infatti pubblicato un pezzo che parte da Lizzy Banks, ex ciclista britannica squalificata per due anni dopo un ricorso Wada al Tas, e lo intreccia al trionfo di Sinner a Wimbledon. Banks nell’intervista ha raccontato di essersi commossa fino alle lacrime guardando quella finale, sentendo “devastazione” per la disparità di trattamento: “Anche il mio caso è arrivato al Tas. A lui, però, hanno dato una squalifica comodissima di tre mesi e ha potuto tornare subito a giocare”.
Il tono dell’articolo è chiaro: insinuare che Sinner sia stato favorito. Peccato che i fatti dicano altro. Banks era risultata positiva al clortalidone, un diuretico, sostenendo la contaminazione di un farmaco. L’Itia le aveva creduto, ma la Wada no e il Tas ha confermato la squalifica. Sinner, invece, aveva sin da subito fornito prove concrete: il Clostebol era arrivato attraverso una pomata applicata dal massaggiatore Giacomo Naldi su un taglio al dito, senza che lui lo sapesse.
Scenario scientificamente plausibile, verificato dalla Wada stessa, che ha riconosciuto l’assenza di vantaggio prestativo e la minima gravità della violazione. Casi diversi, storie diverse, sentenze diverse, insomma. Ma il tabloid-drama funziona, e così ogni volta il nome di Sinner viene tirato in ballo, come se la verità processuale e scientifica fosse un dettaglio secondario.