Il mercato estivo, da rito collettivo di sogni e speranze, si è tramutato in un esercizio di frustrazione, un dannato labirinto in cui le società italiane si muovono come Teseo senza il filo. Prezzi gonfiati e pretese irragionevoli sono all’ordine del giorno. È ormai palese l’alterazione delle regole del gioco, inteso come calciomercato (per fortuna il gioco in senso stretto è ancora aperto alle vittorie dei “poveri”). Alterazione causata da pochi a discapito di tanti. La Premier League non è più un campionato, è un mostro a venti teste che ha assorbito anni di introiti fantasmagorici dai diritti televisivi. Ora anche il club inglese meno prestigioso può pensare e agire come un’aristocratica del calcio continentale. Non più solo Manchester, Liverpool o Londra, ma un intero sistema che spende, spande e detta legge.
DISTORSIONE
La conseguenza è una distorsione della realtà che colpisce chiunque provi a fare affari fuori dai propri confini, e ormai persino al loro interno. È vero che le grandi d’Italia potevano prendere Leoni al posto del Parma a 5-6 milioni dalla serie B ma, in un mondo normale, sarebbero dovute essere il Parma, appunto. O, al massimo, la Fiorentina o il Bologna. Una volta questi talenti dalle referenze brillanti li pagavi il doppio del loro valore al momento, diciamo 10-15 milioni: ora passano direttamente a 25-30 milioni. La carriera-tipo non è più a tappe ma a salti, spesso nel vuoto. Sono spariti i prezzi intermedi perché un qualsiasi club di Premier, o il Psg di turno, paga ben volentieri 30 milioni una scommessa, perché tale è un 18enne: è il modo più efficace di mettere fuori gioco tutte le (ex) concorrenti. I procuratori sguazzano in questo nuovo standard, chiedendo ingaggi che in serie A sono sostenibili solo per un giocatore affermato, non per una scommessa, e ricattando i club al grido di: allora lo porto in Premier.
Così il Milan deve spingersi fino a quasi 40 per un centrocampista del Bruges che miracolo - si è visto meglio in Italia che altrove. Oggi, con queste cifre, si compra la speranza che un De Winter o un Bonny si rivelino azzeccati, mentre City e Liverpool e United trattano con disinvoltura Rodrygo, Akliouche, Guehi e persino Donnarumma last-minute come se stessero facendo la spesa al mercato rionale. Sessioni da 200 milioni senza battere ciglio, che vuoi che siano, e rose da 30 o 40 giocatori, tanto li possono pagare anche per stare in tribuna. L’amara ironia è che questo meccanismo perverso sta entrando anche nei mercati interni. In Italia ci si fa la guerra per due o tre milioni, vedi Atalanta su Lookman, perché si preferisce vendere all’estero. A loro. A quelli che arrivano con le valigette già piene. Una voltalo sconto era riservato al club del proprio campionato nell’idea di alimentare il valore interno. Ora il prezzo della serie A per la serie A è addirittura più alto che verso l’esterno. Si fa lo sconto a chi non ha bisogno dello sconto. Il calciomercato è una dannata giostra senza senso. Anzi, a senso unico.