È il Sinner fuori dal campo. Non in pantaloncini ma con la camicia, sorridente lo stesso, vincente (manco a dirlo) pure. «Sono stato fortunato a coltivare la mia passione attraverso il tennis, ma so che milioni di bambini non hanno la possibilità di realizzare i propri sogni». La presentazione al (selezionatissimo) pubblico della Fondazione Jannik Sinner è l’evento milanese più blindato dell’anno. Giovedì sera all’hotel Palazzo Parigi, nella centrale zona Brera, entrano, tra gli altri, l’ex vicecampione mondiale di Formula 1 David Coulthard, il presidente della Federtennis e panel Angelo Binaghi, l’imprenditore Flavio Briatore e il cantante Andrea Bocelli.
Sono tutti attesi in una sala ai piani alti dalla famiglia Sinner (su, ad aspettarli, c’è mamma Singlinde e babbo Hans-Peter, ma c’è anche Mark, il fratello del tennista numero due del mondo): mangeranno una cena leggera, da “sportivi” (il classico dei classici, un risottino allo zafferano e un filetto di vitello in crosta con del purè), assisteranno alla presentazione del progetto che il trionfatore di Wimbledon tiene a cuore.
Dura 45 minuti l’esposizione del piano: al microfono si alternano Sinner, il suo manager (Alex Vittur) che presiede la Fondazione e la moglie Cristina Tauber (in qualità di direttrice). «Il tennis mi ha cambiato la vita e mi ha insegnato tante cose», dice il giorno dopo, in un’occasione un po’ meno privata, cioè durante un’intervista a Skysport, l’altoatesino: «Avrei voluto aprire questa fondazione molto prima, ma per fare bene cose c’è bisogno di tempo».
E se non lo sa lui, che la prima racchetta magica l’ha presa in mano ad appena otto anni, che ci vuole costanza, sacrificio, ci vuole dedizione: un po’ sempre e in ogni settore perché i risultati non sono mai immediati.
«Quando ero giovane avevo una famiglia normale: non avevamo così tanti soldi, ma mi reputo comunque fortunato perché sono nato in un posto dove ci sono le strutture sportive»: fa la differenza, è vero.
Puoi avere tutto il talento che serve, puoi essere un fuoriclasse: ma, all’inizio, è fortuna. Sono le condizioni giuste, le opportunità (per carità, anche il saperle sfruttare), l’attitudine che emerge perché il contesto lo permette. Saperlo riconoscerlo, ammettere che nel rovescio, sì, sei una sorta di semidio, ma che se non ci fosse chi ti supporta, chi ti permette di giocare, chi ti fa da squadra anche in uno sport individuale come il tennis, forse non avresti mai sfondato, è la lezione del vero campione.
«Oggi voglio provare a restituire qualcosa di quello che ho avuto», spiega Sinner, che è l’idolo del momento,, ma è anche un ragazzo normalissimo di 24 anni con la testa sulle spalle: «Per esempio ho iniziato a sciare quindici anni fa e costava una cifra, ora ancor di più e ci sono tantissime famiglie che non possono permettersi di comprare un paio di sci. Tempo fa tante cose costavano la metà. Ho scelto di iniziare da dove sono nato perché conosco il territorio. Poi cercheremo di allargarci».
L’accesso allo sport, per tutti i bambini, che mica è solo sport e sicuramente non è solo agonismo: è, anzitutto, star bene, imparare una disciplina, prendere un impegno. A Milano l’atmosfera è quasi “casalinga”: Sinner è spigliato, parla chiaro. Se l’obiettivo è arrivare a tutti bisogna iniziare facendosi capire da tutti. La Fondazione Jannik Sinner è appena nata, farà grandi cose (è nel suo nome).
La prima partnership a prendere il via sarà con la Südtirol Sporthilfe, un’organizzazione no-profit che ha sede in Alto Adige (come promesso da Sinner, è la sua provincia natale) e che supporta i giovani atleti offrendo loro finanziamenti, tutoraggio e opportunità di sviluppo. Altri progetti seguiranno, grazie a un gigante che sa guardare oltre al campo rettangolare in terra battuta.