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Chi scopre il tricolore soltanto contro Sinner

Sulla pecunia invidiae abbiamo ragionato due giorni fa. Qui si prende in esame una sfumatura che accomuna distruttori e sinistrorsi
di Andrea Tempestini giovedì 23 ottobre 2025

3' di lettura

Non ci volevano Cassandre per prevedere il bailamme scatenato dalla rinuncia di Jannik alla Davis. Tutto prevedibile. E risibile. Sulla pecunia invidiae abbiamo ragionato due giorni fa. Qui si prende in esame una sfumatura che accomuna distruttori e sinistrorsi. E che però, per i secondi, finisce col mostrare una macroscopica contraddizione. Il punto è: il diniego sinneriano fa emergere tanto a destra quanto a sinistra una multiforme platea di fratelli d'Italia (non partito, ma spirito patriottico). Eppure a sinistra il suddetto spirito, considerati i tempi che corrono, pare avere il potere di rinvigorirlo soltanto Sinner. Solo ora scoprono il tricolore? Può sembrare bieco generalizzare, ma avvicinandosi un poco stupisce quanto la supposta generalizzazione sia difficile da smentire.
Pragmaticamente, due esempi. Il primo lontano più nel tempo, «la piazza per l'Europa» radunata da Michele Serra, in mano il “Manifesto di Ventotene”. Serra scandiva dal palco: «Siamo tanti perché siamo popolo.

Popolo è una parola che negli ultimi anni è stata sottratta alla democrazia e alla gentilezza. E invece è la più democratica delle parole. Siamo in tanti e siamo diversi». Dunque rivendicazione dell'idea di “popolo” - nel caso, italiano- e del valore della diversità. In sintesi evviva l'Europa e le sue propaggini. Viva il continente e viva l'Italia. Ma date una scorsa alle foto: il tricolore pareva un illecito. Nemmeno uno, di numero. Solo le dodici stelle dorate su campo blu, così come da ordine di servizio. Contraddittorio, come lo era ab origine l'ordine di servizio stesso: se siamo belli, se siamo popolo, perché non rivendicarlo? Del secondo esempio abbiamo ricordi vividi: le piazze per Gaza. Folle chiassose, sempiterni cortei e qualsivoglia vessillo: il dominio assoluto della bandiera palestinese, rosso Cgil, falci e martelli, arcobaleni, molto Avs, incursioni Pd. Ma del tricolore nemmeno l'idea.

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Obiezione: che c'azzecca il tricolore se la protesta, sulla carta, è anche contro il governo? Obiezione respinta da una diapositiva arrivata da Gaza all'indomani dell'accordo di pace: i due ragazzi che tra macerie e palazzi sventrati sventolavano la bandiera italiana. «La Palestina ti vede, Italia», il loro messaggio. Un «grazie» rivolto alle piazze pro-Pal. Diapositiva che in filigrana svela miopia e furore ideologico delle piazze stesse: al netto del rilancio acritico del concetto di «genocidio», le fiumane neppure hanno considerato l'ipotesi di esibire il tricolore (siamo italiani, l'Italia è con voi). Il progressismo, il tricolore lo mal sopporta (quelle piazze anzi lo schifano). Va nascosto, rinnegato. Roba da rimpiangere Togliatti e la Conferenza di Yalta, il tricolore imposto, pur in secondo piano rispetto a falce e martello. Certo, c'era un contesto: affrancarsi da Mosca, contendere la bandiera al fascismo.

E guarda un po', oggi che il fascismo impazza solo nelle loro menti, il tricolore non è più conteso ma stigmatizzato, ridotto dalla sinistra a prerogativa simbolica delle “destre”. Ma poi arriva Sinner. E si indignano per l'oltraggio alla patria. Prendi Gramellini, che in un pirotecnico cortocircuito autarchico italianizza «Gianni» Sinner. E sul Corriere scrive: «Nessuno sarà così meschino da dargli dell'apolide o dell'avido soltanto perché preferisce stancarsi per gli emiri anziché per la patria», esercizio di stile per sostenere l'esatto opposto (Gramellini che parla di «patria»!). Prendi Augias, che pur di impallinarlo (ancora) si annida nella pagina delle lettere di Repubblica (chez Francesco Merlo), dove rilancia: non più «italiano riluttante» ma «italiano dimezzato». Prendi la Audisio, sempre Rep, che tira in ballo il vecchio “no” a Mattarella e la casa a Montecarlo. Ecco, prendiamo tutti loro e tanti altri: hanno scoperto il tricolore grazie a Jannik. Curioso, no?

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