Se il gigante Paolo Villaggio fosse ancora tra noi (ci manchi...) non esiterebbe a definire il match andato in scena l’altro giorno a Dubai con la celebre e sempre attuale esclamazione: «La Battaglia dei Sessi, per me, è una cagata pazzesca!». E stiamo parlando di tennis, più o meno. E facciamo riferimento alla sfida tra Nick Kyrgios e Aryna Sabalenka, organizzata nel deserto, che ha visto il primo demolire la seconda in un confronto da Circo Togni, una squallida messinscena che ha certamente arricchito i due, ma impoverito chi l’ha vista e, di sicuro, mortificato tutti coloro che non ne possono più di dover fare i conti con la quotidiana overdose di imposto e plastificato buonismo. Ecco, sì, ci siamo rotti di dover raccontare tutti i santi giorni faccende grottesche e senza alcuna logica, eventi che sono pura finzione ma vengono fatti passare per “iniziative belle e illuminate”. Non li accetti? Ti fanno tristezza? E allora, a seconda dei casi, sei brutto, cattivo, maschilista, femminista, poco inclusivo e incapace di comprendere dove sta andando il mondo.
Balle. Il riconoscimento dei diritti altrui passa da un racconto ben più importante e profondo di una sfida comica e del tutto squilibrata tra una tennista (per quanto forte) e un tennista (per quanto ormai a un passo dalla pensione). Lo scontro di Dubai è terminato 6-3 6-3 per l’attuale numero 671 del ranking Atp, un tizio che ormai è noto ai più solo per le minchiate che da oltre un anno sputazza contro Jannik Sinner, con quest’ultimo che lascia fare perché, si sa, “mai discutere con un fesso, ti trascina al suo livello e ti batte con l’esperienza” (cit. Wilde).
QUEL 9% Dall’altra parte c’era lei, la numero 1 del ranking Wta, ridotta a fare da sparring su un campo volutamente rimpicciolito del 9% per - in teoria- agevolarla. Una scelta che è il non plus ultra dell’umiliazione: cioè, fai di tutto per far passare il messaggio di facciata delle donne che sono all’altezza degli uomini anche nello sport ma poi le tratti con malcelata compassione. Il risultato è stato un teatrino imbarazzante con contenuti tecnici risibili e che però gli organizzatori hanno voluto far passare come “sfida ormai tradizionale”. Ed è così, in passato avevamo già assistito a baracconate simili e proprio per questo non sentivamo l’esigenza di ulteriori remake. Così il Times, giusto per citarne uno: «Si è trattato di una versione moderna di una pantomima natalizia, un incrocio tra il tennis esibizione- e tutta la sua finta incredulità - e qualcosa con un sottotesto inquietante. È sembrato un ritorno a un’altra epoca, in cui il sessismo era dilagante». Ed è esattamente così: l’ennesimo tentativo di far passare a tutti i costi il concetto del “siamo tutti uguali, anche nello sport” si è trasformato in un clamoroso autogol fatto di punti regalati e scenette imbarazzanti. Certo che sì, uomini e donne sono intellettualmente allo stesso livello e nel 2025 (quasi 26) non c’è nemmeno bisogno di motivare la cosa, ma se si tratta di sport, di corsa, di muscoli, di dritti e rovesci, allora “forzare l’uguaglianza” significa fare un torto all’intelligenza dei più, donne o uomini che siano.