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I vescovi pensano a immigrati e Legge Calderoli, intanto le chiese sono sempre più vuote

Vaticano San Pietro

Andrea Muzzolon
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In Vaticano va tutto a gonfie vele. Almeno per quanto riguarda la nuova priorità della Cei, ovvero organizzare spedizioni in mare per ripescare i migranti. L’ultima missione, fianco a fianco con la Ong Mediterranea Saving Humans dell’ex agitatore no global Luca Casarini, a detta di ambo le parti è stata un successo. In appena un giorno e mezzo, 182 persone - distribuite su tre barchini differenti - sono stati fatti salire a bordo e portati in Italia. Il tutto, nonostante si trovassero in acque maltesi. Ma tant’è, la Chiesa sembra aver trovato la sua nuova vocazione nel soccorso a chi tenta la traversata del Mediterraneo.

Al contrario, la Santa Sede non sembra così interessata- o preferisce fare orecchie da mercante - sulla profonda crisi che stanno attraversando le chiese del Belpaese. Questione di priorità, evidentemente. Negli ultimi 22 anni, il numero di italiani che si reca fisicamente a seguire una funzione religiosa è sceso drammaticamente dal 36.4% al 17.9%. La metà. E, come riporta l’Istat, volendo confrontare tale dato con il numero di chi non partecipa mai, in nessun frangente, si è passati dal 15.9% del 2001 al 31.5% dello scorso anno.

 

 

Insomma, mentre i vescovi continuano a sgomitare per aggiudicarsi un ruolo da protagonisti nel dibattito politico, i fedeli scappano dalla messa. Eh si perché, al contrario di quanto si potrebbe pensare, non ci troviamo davanti a una crisi spirituale, ma bensì dell’istituzione clericale. Come spiega il sociologo Franco Garelli, professore ordinario presso l’Università di Torino, in Italia è in corso un processo di “secolarizzazione” della fede, che viene ritenuta sempre più un aspetto di minor importanza rispetto al passato. La nostra, per la maggior parte, è una popolazione di “cattolici anagrafici”, ovvero che si riconoscono in tale credo poiché nati e cresciuti all’interno di un contesto cattolico.

Lo scorrere del tempo ha però mutato profondamente i bisogni delle persone. Bisogni a cui la Chiesa non riesce più a rispondere. «Non è un caso che le parrocchie che riescono a tenere botta sono quelle guidate da preti giovani e che sanno interpretare la società di oggi» spiega Garelli. E continua: «La chiesa rimane punto di aggregazione solo se riesce a farsi comunità e luogo in cui si instaurano relazioni umane e spirituali dinamiche».

Ciò è dovuto al nuovo paradigma che muove le persone: la partecipazione a un qualsiasi evento viene ritenuta necessaria solo se da essa si ricava qualcosa. Ovviamente, anche in termini spirituali. Se i riti riescono a coinvolgere, a lasciare il segno, i fedeli rimangono e, in tanti casi, aumentano. Nel caso opposto, i banchi si svuotano. Ad assestare un ulteriore duro colpo alla partecipazione ha contribuito il Covid. Il lockdown ha allontanato tante persone che, con la fine della pandemia, non sono tornate fisicamente.

La figura del parroco diventa quindi fondamentale ma, in una Chiesa sempre più arroccata su sé stessa, il ricambio generazionale che potrebbe contribuire a invertire il trend discendente non c’è. «Se è vero che è necessaria una riflessione interna sull’età dei membri del clero, mediamente sopra i 60 anni, anche puntare sul mondo laico potrebbe giovare. Oltre al credo, non va infatti dimenticato tutto l’aspetto educativo che ruota attorno alla chiesa» dice il professor Garelli.

C’è poi un altro aspetto da non sottovalutare. Sommando quel 17.9% che continua a frequentare regolarmente le funzioni al 31.5% che non lo fa neanche per sbaglio, arriviamo a circa la metà degli italiani. Esiste quindi un’altra mezza Italia che partecipa alle funzioni, ma solo occasionalmente. Le scorribande politiche dei vescovi, impegnati in prima linea contro l’Autonomia differenziata - neanche la Città del Vaticano fosse interessata dalla riforma - e nel sostegno all’immigrazione, incidono proprio sulla partecipazione di parte di questa fetta di fedeli. «Vorrebbero una Chiesa più distaccata, sono abbastanza refrattari all’intervento in politica» riflette Garelli che, piuttosto, spiega l’importanza del concetto di “testimonianza”.

«Le dichiarazioni lasciano il tempo che trovano; nel mondo cattolico assume molta più rilevanza l’azione, la testimonianza». Ma si sa, nella realtà iper connessa di oggi, qualsiasi posizione o iniziativa che intraprenda la Chiesa diventa motivo di interesse e commento, da parte di tutti. Anche chi non si professa cattolico. E per farlo, alimentando così il dibattito pubblico, si utilizzano sensibilità personali che esulano dalla fede.

Eppure, a fronte di una caduta della pratica, non è venuto meno il sentimento religioso. Anzi, Garelli parla di un «sacro presente ma che fatica a trovare una collocazione nelle confessioni di oggi». E, seppure Papa Francesco sia una figura che attira interesse anche nel mondo laico, neppure lui è riuscito a contribuire ad arrestare la discesa della partecipazione. Insomma, o la Chiesa si rinnova e torna ad occuparsi della sua gente, oppure il trend verso il basso sembra inarrestabile. 

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