Roma, 11 lug. (askanews) - Si entra in uno spazio che ha tutti i canoni di un antico appartamento in stile Belle Époque, qualcosa che ha già nei muri una certa idea di arte, ma subito dopo ci si imbatte nell'estetica proto-digitale dei Krafwerk, con diverse opere visive e sonore nelle varie stanze della casa. Siamo nella galleria Indipendenza di Roma e la mostra che attraversiamo è "The Man Machine" di Ralf Hutter, storico leader della band tedesca di musica elettronica che, da sempre, dialoga con il proprio stile con l'arte contemporanea.
Animazioni, parole, musica, la dimensione sonora che diventa forme del movimento. Per quanto riconoscibile e ormai codificata, l'estetica dei Kraftwerk funziona in modo particolare nello spazio di piazza Indipendenza, proprio per il gioco sottilmente modernista che crea un ponte tra due temporalità - il crinale tra Otto e Novecento e gli albori dell'era del digitale di massa - che, entrambe, appaiono al tempo stesso superate e attualissime, in un certo senso necessarie. E questa sensazione di necessità nasce dalla relazione, dal modo in cui l'elettronica sonora e visiva di Hutter e della sua band sta all'interno di quelle stanze spoglie, ma già di loro così intense.
Uomini e macchine, slogan che vengono da un futuro che chiaramente sta nel passato, ma che comunque non si è mai realizzato in questo modo, benché nei fatti sia semplicemente la nostra realtà di ogni giorno. Ecco, la mostra curata da Michael Bracewell, vive di tali continue contraddizioni, oltre che dalla perdurante fascinazione di un'idea di "super machine" tradotta nel lavoro dei Kraftwerk e nella loro postura robotica. Il mondo fuori va più veloce, ma l'arte, se mai servisse a qualcosa, potrebbe aiutarci a fissare i processi che accadono intorno a noi, per abbozzare un tentativo di comprenderli o, per lo meno, offrirci altre prospettive di pensiero.