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Telemaco a Venezia: la ricerca di sé tra mito, arte e memoria

lunedì 21 luglio 2025

5' di lettura

Telemachus. The Quest for Self, secondo atto della trilogia odissiaca curata da Fondation Valmont, si svela a Venezia, a Palazzo Bonvicini The Intimate Museum, fino al 22 novembre 2025 con ingresso libero e offre al pubblico un’esperienza totale e immersiva che fonde architettura, mito, biografia e sperimentazione artistica. L’allestimento ideato dai curatori Francesca Giubilei, Luca Berta e Valentina Secco prende forma innanzitutto a Hydra, dove quattro artisti: Jakub Flejšar, Pavel Roučka, Maxence Guillon e Didier Guillon, Presidente del Gruppo Valmont, hanno partecipato ad un workshop nella splendida cornice di Villa Valentine, l’esclusiva Résidence Valmont sull’isola greca. I quattro artisti sono stati chiamati a riflettere su temi legati all’identità, alle radici e alla relazione padre‑figlio, primum movens del progetto espositivo veneziano. Ciascun artista, al termine del workshop, ha ricevuto in assegnazione una sala di Palazzo Bonvicini e ha sviluppato un’installazione site‑specific che dialoga con la storia architettonica e l’atmosfera del luogo.

Telemachus introduce un doppio dialogo: Flejšar/Roučka evocano antichi legami famigliari in tensione archetipica, i Guillon intrecciano biografia e creazione, mostrando come l’identità si definisca nel confronto e nella continuità generazionale, restituendo il senso di una linea interrotta eppure persistente. L'impianto tematico, invece, (eredità, trasformazione, emancipazione, rapporto padre‑figlio, ricerca del sé) è dichiarato esplicitamente fin dal titolo “The Quest for Self”, un richiamo diretto al viaggio di Telemaco che, a metà tra mito e contemporaneità, diviene archetipo universale di crescita, desiderio di libertà e definizione di sé, riflesso del percorso umano in rapporto alle radici e alle figure genitoriali.  Ma anche al bisogno di partire per cercare sé stessi, come nella celebre frase di James Joyce in cui si parla di “uscire nel mondo per la prima volta”.

La mostra si apre nella prima sala con le opere di Jakub Flejšar: potenti sculture a pieno corpo in tensione tra figura e astrazione, realizzate in materiali robusti come il metallo e la resina, capaci di trasmettere energia, instabilità emotiva e slancio verso l’ignoto. Le sue figure, spigolose e possenti, sembrano trattenere il respiro di una narrazione inespressa, fissando nello spazio la frattura tra ciò che siamo e ciò che crediamo di dover essere. Nella seconda sala le opere di Pavel Roučka giocano, invece, con la luce in forme quasi enigmatiche, oscillanti tra sogno e realtà, pitture dense e stratificate che evocano frammenti di memoria infantile e visioni simboliche, testimoniando un passaggio emotivo intenso tra padre e figlio, espresso non attraverso figure realistiche ma tramite una grammatica visiva in cui il colore diventa emozione e il gesto pittorico confessione.

 Nella terza sala l’opera di Maxence Guillon The Virtuous Circle esplora il suo percorso di uomo e di figlio seguendo le orme di suo padre, Didier Guillon. Questo percorso è inizialmente rappresentato da un tappeto rosso, che simboleggia il cammino di formazione dell’artista mentre è guidato e protetto dal padre. Quando il tappeto assume una tonalità bruna, la scena si sposta in un’arena contemporanea, dove un’installazione multimediale sostituisce la presenza fisica degli antichi spettatori romani. Davanti a questa arena imponente, una scultura in stile classico con le fattezze di Maxence mostra al pubblico le sue gestae come un gladiatore.

Nell’ultima sala Didier Guillon costruisce un’installazione onirica e immersiva The Room of Dreams che sospende il tempo coinvolgendo tatto, udito e memoria visiva: qui si entra scalzi, in un ambiente sonorizzato da melodie liquide, tra superfici riflettenti, voci sovrapposte e immagini riflesse. Didier Guillon ha scelto di presentare due disegni anatomici del suo trisnonno, Alphonse Lami, stampati su imponenti totem monolitici che si ergono come echi monumentali del passato. Queste sculture ancorano le opere al presente collegando diverse generazioni attraverso il tempo. Sopra questi totem, la parola sogno si staglia e si ripete in lettere luminose e incandescenti, tradotte in dieci lingue diverse.

 “La mia stanza rappresenta un ponte tra il mio passato e il mio futuro,” dichiara Didier Guillon “Il passato è la mia eredità, ciò che mi ha reso chi sono oggi e la ragione per cui l’arte scorre nelle mie vene. Il futuro, invece, lo vedo come un orizzonte condiviso: quello delle nuove generazioni, dei miei figli. Maxence fa parte di questa nuova generazione di eroi: sono loro ad avere il potere tra le mani. Il mio augurio è che siano guidati da passione e ambizione, capaci di inseguire e realizzare i propri sogni.”

Nel 2025 la Fondation Valmont celebrerà dieci anni di attività. Un traguardo importante, che Didier Guillon commenta con soddisfazione: “Nel 2015 ho voluto dare centralità all’arte nel mondo Valmont, immaginando un’istituzione capace di dialogare con il pubblico attraverso mostre, eventi e progetti temporanei. Oggi posso dire che la Fondation è una realtà solida, radicata a Venezia e Hydra” Per il futuro, l’obiettivo è chiaro: crescita internazionale e costruzione di una comunità globale. “Puntiamo ad ampliare la rete della Fondation Valmont, condividendo la nostra passione per l’arte contemporanea e i nostri valori, anche oltre l’Europa. Siamo già presenti a Los Angeles, dove lo scorso gennaio abbiamo avviato un’iniziativa filantropica a sostegno degli artisti colpiti dai recenti incendi.”

 Le visite non si esauriscono nelle installazioni statiche: ogni venerdì Fondation Valmont propone un ciclo di screening cinematografici "In the Mood for Love", accompagnati da talk con artisti e curatori e visite guidate tematiche pensate sia per addetti ai lavori sia per un pubblico generalista, per approfondire la poetica, la lingua delle opere, l’ispirazione greca, il rapporto tra spazio e plastica, la materialità delle superfici e il potere evocativo delle immagini. I film selezionati sono legati a tematiche di identità e memoria, come “The Son’s Room” di Nanni Moretti o “Boyhood” di Richard Linklater, capaci di risuonare con le installazioni e stimolare riflessioni trasversali.

Per la prima volta infine a Venezia, un museo apre le sue porte alla meditazione guidata. Palazzo Bonvicini propone infatti Shape Your Mood un’esperienza unica nel suo genere: un incontro tra arte, presenza e introspezione. Nel suggestivo scenario de The Room of Dreams, l’installazione onirica firmata da Didier Guillon, i partecipanti saranno accompagnati, una volta al mese, in una pratica di meditazione consapevole dalla coach Margherita Vio. Un percorso dolce, fatto di ascolto e respiro, pensato per ritrovare equilibrio, chiarezza e intenzionalità — un modo significativo per iniziare la giornata immersi nella bellezza e nel silenzio dell’arte. L’iniziativa inaugura un nuovo dialogo tra spazio museale e benessere interiore, trasformando la visita in un’esperienza sensoriale e meditativa.

Tutto si potrà vivere sino al 22 novembre 2025 e al calar del sipario su questa seconda tappa prenderà avvio l’epilogo penelopiano della trilogia. Il terzo capitolo sarà infatti dedicato alla figura di Penelope con il contributo corale di diverse artiste. Palazzo Bonvicini e la Fondation Valmont offrono quindi un percorso allargato che propone non solo eventi visivi ma una storia che unisce mito, emozione, pensiero critico, site‑specific, bellezza architettonica, workshop, media, meditazione e dinamica intergenerazionale, offrendo a Venezia un progetto corale che parla all’intimo e al collettivo, e che lascia sospesa nell’aria la domanda finale: chi siamo dopo Telemaco?

Autrice dell'articolo Orchidea Colonna 
Orchideacolonna@yahoo.com 

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