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I musei Guggenheim nel mondo
giovedì 14 agosto 2025

I musei Guggenheim nel mondo

5' di lettura

Dal cuore pulsante di Manhattan alle acque silenziose della laguna veneziana, dalle rive del fiume Nervión fino all’orizzonte dorato di Abu Dhabi, il nome Guggenheim è diventato sinonimo di arte d’avanguardia, architettura iconica e visione culturale globale. Tutto comincia a New York nel 1937, quando Solomon R. Guggenheim, industriale e collezionista, decide di fondare un’istituzione che permetta di condividere con il pubblico la sua raccolta di pittura non oggettiva, un linguaggio artistico innovativo per l’epoca, distante dalle rappresentazioni tradizionali. Inizialmente ospitata in spazi temporanei, la collezione trova la sua casa definitiva nel 1959, quando apre le porte il museo progettato da Frank Lloyd Wright sulla Quinta Strada, un edificio che rompe ogni convenzione architettonica. La struttura, concepita come una spirale ascendente, conduce il visitatore dall’alto verso il basso o viceversa lungo una rampa continua, eliminando il concetto di sale chiuse e offrendo un’esperienza fluida, quasi cinematografica. Il colore bianco candido delle pareti esalta le opere, mentre l’oculo centrale lascia filtrare la luce naturale, creando un’atmosfera sospesa. Nel 2019 l’UNESCO riconosce il valore universale di questo progetto iscrivendolo tra i Patrimoni dell’Umanità, un tributo a un’architettura che è essa stessa opera d’arte. All’interno, il museo custodisce capolavori che raccontano la storia delle avanguardie: tele di Chagall dai toni onirici, ritratti e nudi di Modigliani, composizioni cubiste di Picasso, esplosioni di colore di Kandinskij, padre della pittura astratta. Ogni mostra temporanea diventa un evento mondiale e l’edificio stesso è visitato come un’icona, anche da chi magari non conosce nel dettaglio la collezione.

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Dalla frenesia di New York, la visione Guggenheim approda a Venezia grazie a Peggy Guggenheim, nipote del fondatore, figura eccentrica e appassionata collezionista. Dopo aver vissuto tra Parigi e Londra, Peggy si stabilisce a Venezia alla fine della Seconda Guerra Mondiale, trasformando il Palazzo Venier dei Leoni, affacciato sul Canal Grande, in un rifugio per l’arte contemporanea. Le sue stanze raccolgono opere di surrealismo, cubismo, astrattismo e futurismo, riflettendo i legami personali dell’ereditiera con artisti come Max Ernst, suo marito per un periodo, e Jackson Pollock, che sostenne quando era ancora sconosciuto. Nel 1976, Peggy dona la collezione alla Fondazione Solomon R. Guggenheim, e nel 1980, due anni dopo la sua morte, il museo apre ufficialmente al pubblico. Qui, tra le sale e il giardino di sculture, si ammirano tele di Magritte in cui la realtà si piega all’assurdo, ready-made di Duchamp che trasformano oggetti comuni in provocazioni artistiche, le figure molli di Dalí, l’energia astratta di Kandinskij, il dinamismo futurista di Balla. È una delle mete museali più amate d’Italia, con circa 350.000 visitatori l’anno, e custodisce anche la tomba di Peggy, nel giardino, accanto a quelle dei suoi amatissimi cani.

Negli anni Novanta, la rete Guggenheim si espande verso la Spagna con un progetto che cambierà per sempre il volto di una città: il Guggenheim Museum di Bilbao. La capitale basca, in cerca di una rinascita dopo la crisi industriale, affida all’architetto Frank Gehry il compito di creare un’architettura capace di diventare simbolo e motore di trasformazione. Gehry risponde con una struttura decostruttivista in titanio, vetro e pietra calcarea, inaugurata nel 1997, che sembra un’enorme scultura navale dalle forme fluide. La luce e le nuvole si riflettono sulla superficie metallica, che cambia colore a seconda dell’ora e del tempo atmosferico, mentre all’interno si sviluppano spazi espositivi monumentali, come la celebre Sala 104, un’area di 130 metri di lunghezza dedicata alle installazioni su larga scala. È qui che Richard Serra ha creato “The Matter of Time”, un labirinto di acciaio curvo che invita il visitatore a perdersi e ritrovarsi, a vivere l’arte come esperienza fisica e sensoriale. Il successo è immediato e clamoroso: nei primi tre anni, il museo attira milioni di visitatori e genera un indotto economico stimato in oltre seicentotrentacinque milioni di dollari, dando vita a quello che gli economisti e urbanisti chiamano “effetto Bilbao”, un modello studiato in tutto il mondo su come un’opera culturale possa catalizzare la rinascita di un territorio.

Lo sguardo del network Guggenheim si volge ora verso il Medio Oriente, dove ad Abu Dhabi, sull’Isola di Saadiyat, sta prendendo forma il museo più grande della fondazione, ancora una volta firmato Frank Gehry. Il progetto, annunciato nel 2006, prevede una superficie di 30.000 metri quadrati dedicati all’arte contemporanea, con un’attenzione speciale alle culture del Medio Oriente, dell’Asia sud-occidentale e del Nordafrica. Il design mescola forme audaci e materiali resistenti al clima desertico, e l’apertura, più volte rimandata, è oggi prevista per il 2025. Il nuovo museo si inserirà in un distretto culturale che già ospita il Louvre Abu Dhabi e altri spazi espositivi di alto profilo, creando un polo internazionale del sapere e della creatività.

Non tutti i progetti della fondazione hanno avuto successo: alcuni, come le ipotizzate sedi di Guadalajara, Vilnius e Helsinki, sono stati cancellati per ragioni economiche o politiche; altre sedi hanno chiuso, come il Deutsche Guggenheim di Berlino, attivo dal 1997 al 2013, e il Guggenheim Hermitage di Las Vegas, operativo dal 2001 al 2008. Ma il filo rosso che lega le istituzioni Guggenheim rimane intatto: unire architettura e arte in un’esperienza totale, trasformare il museo in un luogo di incontro e di meraviglia, creare connessioni tra culture diverse.

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Ogni museo Guggenheim è concepito come un’attrazione urbana in sé, capace di incidere sull’identità di una città, di diventare un’icona fotografata e riconoscibile in tutto il mondo, di attirare un turismo culturale qualificato. La strategia si fonda su tre principi cardine: l’architettura come opera d’arte che dialoga con lo spazio urbano, l’innovazione artistica con collezioni e mostre capaci di sorprendere e provocare, e il dialogo interculturale che apre nuove prospettive e favorisce la comprensione reciproca. Così, da New York a Venezia, da Bilbao all’imminente Abu Dhabi, il marchio Guggenheim continua a plasmare il modo di intendere il museo, non come un semplice contenitore di opere ma come un organismo vivo, in costante evoluzione, un ponte tra passato e futuro, tra locale e globale, tra l’artista e lo spettatore che, varcando l’ingresso, diventa parte integrante della narrazione, parte di una storia che da quasi un secolo si scrive con linee architettoniche audaci e colpi di pennello indimenticabili.


Autrice dell'articolo Orchidea Colonna
Orchideacolonna@yahoo.com