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Equitalia stringe ancora il cappio:cartelle, schizzano gli interessi

Novo salasso deciso dall'Agenzia delle Entrate: in un colpo la mora sulle cartelle esattoriali pagate in ritardo sale del 15 per cento
di Andrea Tempestini domenica 10 marzo 2013

Attilio Befera

3' di lettura

  di Francesco De Dominicis twitter @DeDominicisF A leggere certi dati verrebbe proprio voglia di dare ragione a Beppe Grillo, che vuole chiudere Equitalia. Il comico genovese, leader del Movimento 5 stelle, lo ripete come  un mantra: «Basta Equitalia, va abolita». Grillo  non spiega, tuttavia, come intenderebbe dare la caccia ai furbetti delle tasse (altro punto cardine del programma) dopo aver privato lo Stato di uno strumento essenziale per la lotta all’evasione tributaria,  cioè  i cosiddetti esattori.  Le solite contraddizioni targate M5S. Eppure l’aumento del 15%, in un colpo solo, degli interessi chiesti ai contribuenti sulle cartelle fiscali pagate in ritardo grida vendetta.   L’inasprimento del saggio dal 4,5504% al 5,2233% - vale la pena essere corretti - è stato deciso dall’Agenzia delle Entrate. Che determina autonomamente gli interessi di mora da applicare ai ritardatari per quanto riguarda le cartelle relative alle imposte di competenza dello Stato, come Iva, Irpef o Irap, solo per fare alcuni esempi. Stesso discorso per gli altri enti impositori: è il caso dei comuni che stabiliscono i tassi di mora sulle cartelle per balzelli locali  o multe automobilistiche. Di queste somme non entra nulla nelle casse di Equitalia, cui spetta l’aggio, pari all’8%. Cifra che non di rado rimbalza  al centro di feroci polemiche nell’ambito delle quali chi ha la memoria corta non ricorda che quando le esattorie erano in mano agli istituti di credito, fino al 2007, lo Stato riconosceva ai banchieri una fee secca di 500 milioni di euro a prescindere dai risultati (che erano assai scarsi).   Sta di fatto che a occuparsi della riscossione a 360 gradi, oggi, sono sempre i  funzionari di  Equitalia, che spesso finiscono per essere etichettati come i peggiori strozzini. L’accostamento è inopportuno e sul piano tecnico pure non corretto. Difficile spiegare certi formalismi, però, a un’impresa sul lastrico o a  una famiglia che non arriva alla fine del mese. Senza dimenticare, che l’innalzamento deciso dalle Entrate con un provvedimento del 4 marzo scorso arriva dopo tre anni di continui ribassi: da ottobre 2009 a ottobre 2012, infatti,  il tasso di mora - determinato sulla base della media dei tassi bancari calcolato dalla Banca d’Italia  - era costantemente calato. Un taglio complessivo del 33% (dal 6,8358% al 4,5504%) che sembrava andare incontro alle esigenze di cittadini e aziende, alle prese con gli effetti devastanti della crisi finanziaria internazionale e con la recessione. Una situazione disastratata aggravata proprio dalla pressione fiscale. Aspetto, questo, trattato ieri dalla  Cgil che ha buttato nella mischia un dato interessante: tra il 2007 e il 2013 i salari sono scesi di oltre il 2%, ma l’imposizione tributaria - tra fiscal drag e aumento delle addizionali locali - , è cresciuta di circa il 2,3% determinando un aggravio impositivo annuo di oltre 600 euro. La ricerca riguarda i redditi da lavoro dipendente e punta il dito, nel dettaglio,  «la completa assenza di correzione all’irpef si è saldata con rinnovati inasprimenti delle addizionali regionali e comunali». Secondo la Cgil l’attuazione del federalismo, infatti, «è avvenuta a prescindere da ogni clausola di invarianza della pressione fiscale». In 10 anni, perciò, la quota delle addizionali locali, sull’imposta complessiva gravante sui salari, risulta quasi triplicata: dal 4,2% all’11,2% nel caso di un lavoratore single; dal 5,8% al 17,1% nel caso di un lavoratore coniugato. E non è tutto. Perché la stangata Irpef è in “buona compagnia”: tra Iva e Tares, nel 2013, il giro di vite per famiglia sarà di 286 euro. A fare i conti, in questo caso, è il Codacons, secondo cui per i rifiuti la mazzata aggiuntiva, rispetto a quanto pagato nel 2012, sarà pari, in media, a 77 euro, mentre con l’aumento iva dal 21 al 22% previsto da luglio «si determinerà a regime, per una famiglia di 3 persone, un aumento di spesa pari a 209 euro, sempre se non vi saranno arrotondamenti e speculazioni».  

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