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Benzina, l'incubo dei 2,31 euro: ecco cosa accadrà nei prossimi mesi, mai visto prima

di Michele Zaccardi sabato 4 giugno 2022

3' di lettura

Dopo un mese di attesa, ieri è arrivata l'ufficialità: il Consiglio Ue ha approvato il sesto pacchetto di sanzioni nel quale è contenuto l'embargo (differito) del petrolio. Tra le novità introdotte c'è l'esclusione dal sistema di pagamento Swift di altre tre banche russe, tra cui Sberbank, il maggiore istituto del Paese. Vengono poi sospese le trasmissioni di tre emittenti accusate di fare propaganda e si prevede il divieto di ingresso in Europa, oltre al congelamento dei beni, per nuove personalità vicine al Cremlino. Ma è sicuramente la messa al bando del petrolio la misura più dolorosa per Mosca. Nel 2021, infatti, i Paesi europei hanno importato dalla Russia greggio per un valore di 48 miliardi di dollari e prodotti raffinati per 23 miliardi. Il blocco degli acquisti, però, non sarà immediato. Per arrivare a colpire il 90% delle importazioni russe, infatti, bisognerà aspettare la fine dell'anno. L'embargo entrerà in vigore tra sei mesi per il greggio trasportato via nave e tra otto per i prodotti raffinati. Con un'eccezione importante che vale un terzo dell'export russo: l'oleodotto Druzhba che rifornisce Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca. Dal momento che questi Paesi non hanno uno sbocco sul mare, a loro la Commissione Ue lascerà più tempo, anche se non si sa ancora quanto, per affrancarsi da Mosca.

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GRADUALITÀ
In seguito alla rinuncia da parte di Polonia e Germania di usare il petrolio consegnato attraverso Druzhba (il ramo nord dell'oleodotto le rifornisce entrambe), entro la fine dell'anno dovrebbe essere messo fuori gioco il 90% del totale del greggio russo. Insomma, i tempi sono piuttosto dilatati. Ma la scelta di procedere in modo graduale, spiegano da Bruxelles, è stata fatta per «assicurare l'eliminazione del petrolio russo in modo ordinato» e «per minimizzare l'impatto sui prezzi». Una gradualità che, però, è un'arma a doppio taglio: se è vero che da un lato in questo modo si agevolano i Paesi europei a trovare fornitori alternativi, è altrettanto vero che si dà tempo alla Russia di riorganizzarsi e trovare nuovi clienti. Cosa che, del resto, sta già avvenendo. Secondo la società di ricerca Kpler, a maggio le esportazioni russe di petrolio e prodotti della raffinazione hanno toccato l'apice da ottobre 2019, a quota 5,09 milioni di barili al giorno. Per quanto riguarda i prezzi, le rassicurazioni di Bruxelles cozzano contro quanto sta avvenendo sui mercati. Ieri il Brent è cresciuto dell'1,77%, raggiungendo quota 119.69 dollari al barile, mentre il Wti americano è arrivato a 118,9 dollari (+1,74%). Ma l'ottimismo dell'Ue, trapelato dalle parole di un funzionario secondo il quale «i prezzi sono scesi nell'ultima settimana», si basa sulla scommessa di «cosa accadrà con l'Opec».

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NUOVI RECORD
Il cartello dei Paesi produttori allargato alla Russia, infatti, ha deliberato giovedì un aumento dell'estrazione di petrolio di 648 mila barili al giorno a luglio e ad agosto, il 50% in più rispetto ai 432mila barili extra previsti in precedenza. Un incremento che, però, corrisponde soltanto allo 0,4% della domanda globale dei due mesi estivi. E con la Russia che fatica a mantenere i ritmi di produzione che si è data, anche a causa delle sanzioni che bloccano le importazioni di componenti necessari all'industria petrolifera, sembra difficile che i prezzi possano scendere nei prossimi mesi. Questo mentre in Italia ci troviamo a fare i conti con la benzina che, se non fosse per il taglio delle accise e dell'iva (circa 30,5 centesimi al litro), sarebbe ai livelli di metà marzo (2,184 euro), a un passo dal record storico del 1976 (500 lire pari a 2,31 euro).

Il prezzo medio nazionale in modalità self service sale infatti a 1,952 euro al litro, dai 1,914 euro del 31 maggio, mentre per il servito si arriva a 2,080 euro, contro i 2,049 euro registrati alla fine del mese scorso. Il governo, davanti all'impennata, sta già preparando la proroga del provvedimento per camierare i prezzi alla pompa. Secondo il Codacons, questi rincari si traducono in una spesa aggiuntiva per famiglia di 460 euro. Insomma, checché ne dicano a Bruxelles, la guerra e le conseguenti ritorsioni economiche hanno un costo che si scarica sugli italiani (e sugli europei). Anche perché il petrolio, attraverso il filtro dei costi di trasporto, impatta su tutto. Per l'Istat, infatti, i beni energetici non regolamentati, che comprendono anche i carburanti, hanno contribuito per il 2% all'inflazione del 6,9% registrata a maggio. 

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