La parola d’ordine è: tutto andrà male. Solo rispettando questo comandamento potete ambire ad entrare nella cerchia di esperti che la sanno lunga e ci mettono in guardia dalle sciagure in arrivo. Il gioco è partito con i crolli di borsa successivi al Liberation day del 2 aprile e non si è più fermato. Ancora oggi, a un mese di distanza, c’è chi pontifica sui trilioni bruciati dalla follia di Donald Trump. Non i profitti delle multinazionali cattive o degli sciacalli di Wall Street, intendiamoci, ma i soldi dei piccoli risparmiatori, il fieno in cascina dei futuri pensionati, le somme centellinate in una vita di sacrifici. Ecco, ci hanno spiegato fino allo sfinimento autorevoli osservatori e fior di firme, la guerra commerciale scatenata dal tycoon ha gettato sul lastrico i più deboli, provocando danni irreparabili al tessuto sociale, a quel ceto medio che lo ha votato e ora si trova in mezzo alla strada.
Da qualche giorno, però, è scattata la versione 4.0 dell’apocalisse. Il problema non sono più i trilioni andati in fumo sui listini, ma il futuro degli Stati Uniti, lo scontro con la Fed, l’inflazione che inizierà a galoppare, il pil che arretra, lo scontro feroce all’interno della Casa Bianca tra i trumpiani di ferro e il fronte dei saggi dissidenti. Il cambio di passo non è casuale, ma imposto dagli eventi. A trenta giorni di distanza, infatti, delle catastrofiche perdite sui listini che avrebbero cambiato per sempre lo scenario finanziario mondiale non è rimasta alcuna traccia. Al loro posto, udite udite, ci sono dei segni più.
Ricordate quando Trump, di fronte al terremoto borsistico di inizio aprile ha detto che le azioni salgono e scendono e che è un buon momento per comprare? Qualcuno si è limitato a dargli del pazzo, altri senza esitazioni lo hanno accusato di insider trading. Ma chi ha seguito il suo consiglio ora si trova con un bel gruzzolo in tasca. Già, perché alla chiusura delle Borse Usa di venerdì il tabellino dell’ultimo mese di Wall Street recita: Dow Jones +1,90%, S&P 500 (che nelle ultime 9 sedute ha registrato la sua più lunga serie positiva dal 2004) +5,38% e Nasdaq (qualcuno aveva già recitato il de profundis per le big tech) addirittura +8,62%. E il bello è che hanno azzerato tutte le perdite pure i listini europei, da Francoforte e Madrid, da Lisbona e Vienna. Persino la Borsa di Atene è tornata sopra i livelli del 2 aprile. E in sostanziale pareggio (-0,33%) c’è anche la nostra Piazza Affari, che con l’ultimo balzo di venerdì (+1,92%) ha praticamente archiviato la bufera dei dazi.
Capitolo chiuso, balle smentite? Figuriamoci. Non basta certo un mese e una buona dose di figure barbine da parte di chi dovrebbe avere esperienza dell’andamento dei mercati per annullare il mantra del “tutto andrà male”. La spiegazione che va per la maggiore adesso tra gli esperti è quella del “fuoco di paglia”: il mercato è in tilt e rincorre le notizie del giorno senza una strategia. Prima trema perché il pil Usa arretra, poi si inebria perché ad aprile sono stati creati 177mila posti di lavoro contro i 133mila attesi degli economisti. E domani andrà di nuovo gambe all’aria. Insomma, la festa non durerà. Il che, per carità, non solo è possibile.
Ma è stato addirittura già messo in conto. Trump lo dice dall’inizio e lo ha ribadito anche ieri parlando alla Nbc. Interrogato sulla eventualità di una recessione, il presidente Usa ha risposto: «Tutto può succedere. Ho detto che questo è un periodo di transizione. Ma credo che avremo la migliore economia nella storia del nostro Paese. Credo che assisteremo al più grande boom economico della storia».
L’ottimismo di Trump può essere ovviamente messo in discussione. I percorsi della storia sono imprevedibili, così come quelli dell’economia. Ed è chiaro che quella del tycoon è una scommessa, con molteplici fattori di rischio. Gli avvertimenti di banche centrali e istituzioni finanziarie non sono tutte frutto dell’ossessione anti-trumpiana. «L’aumento delle tariffe all’importazione da parte degli Stati Uniti, le ritorsioni da parte dei partner commerciali e la conseguente turbolenza dei mercati rappresentano uno shock al sistema, con impatti concentrati sulla fiducia e sulla formazione dei prezzi - scrive l’agenzia di rating S&P - L’economia reale ne sarà sicuramente influenzata, ma resta da capire in quale misura».
Gli scossoni ci saranno. E la navigazione nei prossimi mesi sarà sicuramente turbolenta. Di qui a vaticinare la fine del mondo per un crollo di Borsa, però, ce ne passa. «Quello che è successo negli ultimi 30, 45 giorni, non è davvero niente», ha detto ieri l’oracolo di Omaha Warren Buffett, che pur criticando la politica dei dazi, ha spiegato che «non si è trattato di un mercato ribassista drammatico o qualcosa del genere». La verità è che in troppi continuano a confondere la realtà coi propri desideri. Se pensiamo che secondo i super esperti di flussi elettorali Kamala Harris avrebbe potuto vincere le presidenziali, sentir paragonare le altalene borsistiche delle scorse settimane alla Grande depressione o alla crisi dei mutui subprime, in fondo, è poca cosa.