Ieri alle otto del mattino ho viaggiato in aereo da Milano a Roma, al mio fianco c’era un consulente d’impresa che lavora in Italia per una delle grandi firme americane, mi ha raccontato dei suoi clienti importanti, dell’andamento del business e poi è arrivata subito la domanda che fanno un po’ tutti: «Ma lei cosa ne pensa di questa cosa dei dazi?».
Non sai mai chi hai davanti di primo acchito, è un po’ come giocare a tennis per la prima volta con un avversario che potrebbe essere molto forte, molto debole, mediocre e scontato, geniale e imprevedibile. Oppure è uno molto incazzoso che alla prima risposta sbagliata mena e voi capite che in aereo è difficile uscire dall’oblò. Così ho azzardato una risposta democristiana dicendo che forse l’Europa, se il negoziato con Trump va male, dovrà rispondere. E il tizio con voce ferma parte di controbalzo: «Ma ci conviene? Perché io conosco le aziende italiane che lavorano negli Stati Uniti e a noi non conviene nessuna rappresaglia». Ne è seguito un discorso interessantissimo che riguarda quel che viene raccontato dai giornali del mainstream e quel che accade nella realtà di chi fa impresa. C’è disorientamento tra gli imprenditori, pochi sono pronti a un nuovo scenario, ma tutti saranno velocissimi nell’adattarsi perché gli italiani lo fanno da sempre, soprattutto in quell’immenso spazio che è l’America. Il mio interlocutore è certo che «Trump può anche mettere i dazi del 30% sui prodotti italiani ma gli americani li amano, li cercano, li vogliono, li consumano e sono disposti a pagarli perché chi li acquista solitamente ha un reddito alto».
A questo punto va ricordato che il reddito medio di un americano con una solida posizione lavorativa è incomparabile rispetto a quello di un italiano, le retribuzioni sono molto più alte, basta guardare la capacità di spesa dei turisti americani in Italia, prenotano i migliori alberghi, noleggiano le auto di lusso, ordinano i piatti più ricercati al ristorante, acquistano prodotti artigianali e li fanno spedire a casa loro, nel ranch o nel grattacielo, nelle case dei benestanti troverete opere d’arte italiane, vino italiano, pasta italiana, formaggio italiano e spesso donne italiane. C’è un legame indissolubile tra noi e l’America e non c’è guerra commerciale che possa spezzarlo. Avanzo l’ipotesi - credo abbastanza fondata - che non si può vendere il Parmigiano a 50 euro al chilo in Cina, il mio compagno di viaggio ha una forma di Reggiano negli occhi: «Ma certo! Tutta questa storia dell’aprire nuovi mercati è una caz-za-ta perché le vie del commercio non si aprono con i decreti o con le missioni ministeriali, ma con la legge della domanda e dell’offerta, c’è un prodotto italiano che piace, c’è qualcuno disposto ad acquistarlo all’estero e a fare perfino follie per averlo». Io rispondo: «Tutto il resto è poesia». E quello apre il libro di Giovanni Trapattoni: «Con Trump bisogna solo giocare di rimessa, e in ultima analisi è meglio non reagire perché i numeri dell’economia americana dimostrano che quello che si racconta sui dazi, il cataclisma, non c’è e non ci sarà. Anche Xi Jinping alla fine troverà un accordo». Gli dico che ha ragione, le merci cinesi sono in parte ferme nei porti, anche se gli ultimi dati della produzione (+5,2%) sono ancora buoni e l’export tiene, ma lui mi ferma con una domanda: «Secondo lei faranno il G2?».
Ecco qui si apre una terra incognita, nessuno sa cosa sta pensando il dragone cinese, come non sappiamo cosa si agita nella testa di Vladimir Putin, la Russia non è una potenza industriale ma esporta energia dove il mondo sta crescendo, in Cina, in India, nella tana delle tigri asiatiche, Mosca ha una flotta di petroliere e gasiere che navigano negli oceani. A disposizione di chi offre di più. Atterraggio a Fiumicino e conclusione comune di questo dialoghetto volante: l’Europa continua ad essere un nano politico, un gigante economico e un verme militare (così disse Henry Kissinger) deve adattarsi al nuovo mondo e, con tutto il rispetto, non sarà l’Europa a deciderne le sorti, la partita è di Washington, Pechino e Mosca (non a caso le tre sagome di una copertina recente di Foreign Affairs). E l’Italia? Ce l’abbiamo fatta tante volte e ce la faremo ancora, quello che facciamo noi per il momento non lo sa fare ancora nessuno, siamo una potenza creativa, sappiamo adattarci e... forza Parmigiano!