Una sciagura. Il male assoluto. L’apocalisse. E chi l’ha detto? I dazi non piacciono a nessuno, sia chiaro, ma l’Italia ha molto meno da perdere e da temere rispetto agli altri Paesi europei. Il motivo è presto detto: il nostro è un tessuto produttivo di piccole e medie imprese che lavorano per nicchie di alta qualità per i cui clienti, compresi i consumatori finali, non sarà un grosso problema assorbire i maggiori costi derivanti dalle tariffe. E a tal proposito Libero ha interpellato alcune eccellenze italiane.
«Premesso che in una fase storica di grande incertezza come quella che stiamo vivendo i dazi non sono una notizia positiva, l’Italia ha un sistema produttivo con una capacità di reazione e innovazione che garantisce un ventaglio di possibilità che altri Paesi non hanno», spiega Giancarlo Buffo, amministratore delegato di Cisla, azienda del Canavese con sede a Busano, in provincia di Torino, specializzata nello stampaggio a caldo e nelle lavorazioni meccaniche per Ferrari, Maserati, Porsche, Bmw, Audi e Aston Martin nell’automotive, per Alstom nel ferroviario e Framatome nel nucleare, giusto per citare alcuni marchi. Non solo.
«Il fatto che in alcuni settori produttivi il nostro Paese ha una specializzazione tale da rappresentare ormai un unicum per competenze e capacità, unito al fatto che c’è una vasta gamma di prodotti di lusso che il mercato mondiale comunque richiede, ci porta a dire che nel complesso i dazi incideranno in modo meno pesante rispetto a quanto accadrà in Germania e Francia», puntualizza Buffo. Un piccolo contraccolpo iniziale sul mercato americano, secondo le previsioni, inevitabilmente ci sarà. «Ma vista la ricchezza distribuita nel mondo e la qualità che siamo in grado di produrre alla fine tutto tornerà come prima». In ogni caso, spiega l’ad di Cisla, bisognerà capire «se chi acquista i nostri componenti realizzando poi negli Stati Uniti il prodotto finale vedrà o meno applicati i dazi». Indicazioni definitive, al momento, non ce ne sono. La linea del governo Meloni, però, «è sensata perché il tema è più ampio ed è quello del fallimento delle politiche europee, che si sono rivelate inadatte per rispondere alle aspettative e necessità dei cittadini a causa di tutta una serie di vincoli che non favoriscono la competitività, ma la bloccano».
Dalle automobili alle posate. Sempre di lusso. «Ovviamente senza dazi sarebbe stato meglio ma siamo moderatamente contenti vista la situazione di incertezza che si era creata dal 12 febbraio. Il 15 per cento totale, considerato che fino a oggi pagavamo un 6+10, è sostenibile e il fatto di essere arrivati a un punto fermo, conoscendo le regole del gioco, è molto positivo.
È chiaro che per chi come noi produce beni di lusso che hanno già un prezzo di fascia alta l’impatto dei dazi sarà inferiore», spiega Luca Prandelli, managing partner di Mepra, azienda bresciana che produce posate di alto livello dal design contemporaneo italiano che finiscono sulle tavole dei migliori ristoranti stellati. Export in tutto il mondo, di cui una fetta principale negli Stati Uniti. «Siamo soddisfatti perché in questo modo i nostri concorrenti europei saranno tutti colpiti ugualmente, dunque se tutti alzeranno i prezzi le quote di mercato non cambieranno, mentre Cina e Vietnam avranno dazi più alti rispetto ai nostri. Alla fine i dazi li pagheranno i consumatori americani», sottolinea Prandelli.
Passando all’agroalimentare, l’Associazione italiana dell’industria olearia (Assitol) aderente a Federalimentare e Confindustria allontana i catastrofismi. «I dazi non piacciono a nessuno. Tuttavia, questa percentuale, che vale per tutti i produttori europei, consente al nostro export di lottare ad armi pari con gli altri competitors europei ed extra Ue. Sei dazi non superano questa soglia, le aziende possono continuare a lavorare, confermando la nostra storica propensione all’export», dice Anna Cane, presidente del gruppo olio d’oliva dell’associazione. Un mercato fondamentale per l’Italia è proprio quello a stelle e strisce, visto e considerato che gli Stati Uniti importano il 95 per cento dell’olio d’oliva di cui hanno bisogno. Si parla di 370mila tonnellate di media all’anno: un consumo che entro il 2030 potrebbe superare addirittura il nostro. Per gli Usa «questo prodotto è un’alternativa salutare per il cuore rispetto ai grassi di origine animale» e in virtù di ciò gli americani «sono disposti a pagare un costo non proprio economico per il nostro extra vergine, accettando quindi anche i dazi, se sono ragionevoli». L’augurio di Cane, in ogni caso, è che «le qualità salutistiche dell’olio d’oliva siano riconosciute, inserendolo nella lista dei prodotti esenti da questa tassa».
Ed ecco la farmaceutica, in attesa di capire se ci sarà un dazio del 15 per cento o meno (le versioni Usa e Ue non coincidono ancora a riguardo). Per Marcello Cattani, presidente di Farmindustria, se sarà quota 15 si potrà parlare di «un compromesso con costi importanti per le imprese ma che evita l’escalation commerciale e, considerate le premesse davvero critiche, con un impatto a livelli ancora sostenibili». C’è ottimismo nel comparto. «Il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e il Ministro degli Esteri, Antonio Tajani, continuano a garantire il massimo impegno a livello europeo perla leadership dell’Ue nelle life sciences», sottolinea Cattani. Toccherà all’Europa valorizzerà l’innovazione, incentivare gli investimenti, ridurre la burocrazia e semplificherà le regole per essere ancora uno degli attori globali nel settore.