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Italia patria pomodori: ecco cosa ci arriva in tavola

di Attilio Barbieri lunedì 4 agosto 2025

4' di lettura

Portato in Europa dai conquistadores spagnoli che lo avevano scoperto fra le colture praticate da aztechi e maya, il pomodoro è diventato uno dei simboli dell’alimentazione italiana. Da qualche giorno è iniziata nei campi di Emilia, Lombardia, Puglia e Campania la raccolta del pomodoro da salsa. Una coltura che produce un fatturato di 5 miliardi di euro e rappresenta uno dei pilastri del nostro sistema agroalimentare e pure della dieta mediterranea. Secondo una analisi di Coldiretti la filiera coinvolge circa 7mila aziende agricole, oltre 100 imprese di trasformazione e 10mila addetti, distribuiti su circa 70.000 ettari coltivati.

Sempre secondo l’analisi Coldiretti su stime del World processing tomato council si prevede un raccolto in Italia pari a 5,6 milioni di tonnellate, ma tutto dipende dall’andamento climatico dei prossimi mesi, considerate le sempre più ricorrenti anomalie climatiche, tra caldo record e violenti rovesci. E intanto si registra un aumento dei costi di produzione che sta mettendo in difficoltà molte aziende.

Ma dietro il business del pomodoro da industria si nasconde un tesoro che pochi conoscono: 83 varietà diverse di pomodoro tuttora coltivate lungo tutto lo La punta di diamante di questo schieramento è rappresentata dai tre pomodori a indicazione geografica, vale a dire il San Marzano dell’Agro Sarnese Nocerino Dop, il pomodoro di Pachino Igp e il Piennolo del Vesuvio Dop. Ma quasi tutte le solanacee da mensa, che rappresentano il cuore delle 83 varietà coltivate e vendute tuttora nel nostro Paese, sono strettamente legate ai territori da cui prendono il nome. Fra i tanti cito i più famosi, a cominciare dal pomodoro Delizia di Tortona (Alessandria) con pochissimi semi, una polpa densa e succosa e un sapore intenso, il Buttiglieddru di Licata, varietà di piccole dimensioni (la bacca pesa da 10 a 20 grammi) e una dolcezza straordinaria con un grado Brix che arriva a 8, quasi come un frutto. All’opposto il pomodoro di Belmonte Gigante (Cosenza), di colore rosa violaceo e con una pezzatura che raggiunge facilmente il chilogrammo ma può raggiungere anche i 3 chili, noto anche come “pomodoro bistecca”.

Nell’Italia centrale svetta la Toscana per varietà autoctone, vera capitale della biodiversità con 13 cultivar riconosciute come Pat (Prodotti agroalimentari tradizionali): dal Canestrino di Lucca al Grinzoso Sanminiatese, dal Pomodoro Fragola di Albiano al Pendolino da inverno e al Pisanello, per citare le più note. Il Lazio non è da meno con la Spagnoletta del Golfo di Gaeta, il Corno di Toro, l’Ovalone Reatino, la Fiaschetta di Fondi.

Ma è la Campania a primeggiare su tutte le altre regioni per numero di solanacee legate ai territori. Dal Pizzutello noto per il sapore dolce e leggermente acidulo, al Cannellino Flegreo apprezzato per il sapore in equilibrio tra dolcezza, acidità e sapidità. Fino ai gialli Verneteca Sannita e Piennolo Giallo Cilentano. Sempre nel Cilento si coltiva un altra solanacea gialla, il pomodorino di Rofrano, mentre dalla provincia di Avellino arriva il Seccagno di Gesualdo. Il pomodorino di Corbara (Salerno) con una caratteristica forma allungata tendente al piriforme e dal tipico sapore agro-dolce, ha dato origine a una pummarola che si trova pure nei supermercati del nord Italia, battezzata Corbarì.

Sono diffusi in Basilicata due varietà di pomodoro costoluto, quello di Maratea e il suo gemello costoluto di Rotonda, con polpa carnosa, dolce e profumata, entrambi capaci di raggiungere facilmente il chilogrammo di peso.

CONSERVABILITÀ

Ampia pure la produzione di solanacee da mensa in Puglia. Il Regina di Torre Canne è il classico pomodoro da serbo che si può mangiare crudo anche a mesi di distanza dalla raccolta. mentre il Giallorosso di Crispiano è apprezzato per il marcato sapore erbaceo. Il pomodoro di Mola è particolarmente ricercato per l’inconfondibile sapore che sa trasferire alle salse fatte in casa alla vecchia maniera, quello di Morciano di Leuca è fra le cultivar più precoci d’Italia e si coltiva nel Salento.

In Sicilia, oltre al notissimo ciliegino di Pachino Igp, consumato pure fuori dai confini dell’Italia, si segnalano il pomodoro siccagno della Valle del Bilìci, con polpa densa, sapore intenso e ideale per la preparazione di sughi, conserve e concentrati di alto valore gastronomico, e il dolcissimo Pizzutello delle Valli Ericine, nel Trapanese, che dal monte Erice arrivano fino al mare. Oltre a vantare il record mondiale delle varietà tuttora in coltura, l’Italia si conferma prima in Europa per i volumi lavorati nel pomodoro da salsa e terza al mondo dopo Stati Uniti e Cina.

E proprio le importazioni di semilavorati e concentrato cinesi, come sottolinea il responsabile economico della Coldiretti, Lorenzo Bazana, «rappresentano un problema in assenza di una normativa europea che garantisca la tracciabilità completa dei derivati del pomodoro». Come chiede da tempo la confederazione guidata da Ettore Prandini soltanto l’obbligo di indicare in etichetta l’origine della materia prima per lo meno in tutti i ventisette Paesi della Ue può assicurare ai consumatori la trasparenza che garantisca la qualità e al contempo la correttezza del mercato.

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pomodoro

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