Iniziate le audizioni con le categorie economiche, rappresentanti e datoriali, perla finanziaria 2026, si capisce che ciascuna di loro cerca di portar acqua al suo mulino e nel caso, c’è un distinguo ideologico e non sempre le proposte integrative collimano. Comunque di buono c’è che vengono ascoltate solo le grandi associazioni di ogni settore, in modo da evitare perdite di tempo col frastagliato mondo del sindacalismo. Molto meno buono è che non via sia un’idea comune che si raccolga intorno a tre vocaboli portanti: programmazione, risorse e partecipazione. Il nostro Paese difetta come nessun altro in programmazione, sviluppo e durata.
Un mastodontico difetto che ha determinato corpose problematiche, sfociate nell’assenza ultradecennale di una politica industriale e commerciale in grado di stabilire condizioni e modus operandi che il sistema integrato tra pubblico e privato avrebbe dovuto attuare. Il non aver compreso la crisi dell’auto - annunciata a fine secolo scorso- in un Paese in cui il comparto era determinante sulla composizione del Pil sui livelli di occupazione, previdenza ed assistenza, per oltre il 20% è l’esempio più eclatante, al quale s’è associata e ne è stata un conseguenza la deindustrializzazione, manifestata nettamente a fine secolo scorso, con la progressiva scomparsa di altri comparti come l’elettronica da consumo, la chimica industriale e sempre più la siderurgia. Solo farmaceutica e agroalimentare non solo hanno resistito ma si sono rafforzate, diventando, come nel caso Ferrero, ai vertici mondiali. La carenza di programmazione ha di fatto escluso la componente risorse da destinarvi, sia pubbliche sia private - limitandola di anno in anno. Sono mancati piani d’investimento fissati secondo una programmazione Paese chiara, sia in termini di regole immodificabili sia di durata certa, in modo da fare emergere i ritorni e le ricadute socioeconomiche per la popolazione.
L’assenza delle condizioni citate ha fatto sì che il mercato dei capitali regolamentato fosse confinato a una posizione europea secondaria, un mercato borsistico che ha nel settore bancario-assicurativo-finanziario ed energetico a controllo pubblico il suo pilastro fondamentale che si esprime in una capitalizzazione di mercato che oscilla tra il 75 e 80%, osssia su circa 800 miliardi, 650 sono ascrivibili ai settori citati, mentre l’industria è quasi assente e i servizi, a parte quelli a capitale pubblico, marginalizzati. A fronte della carenza di programmazioni ci s’attenderebbe che almeno i datoriali, ma anche quelle rappresentanti il lavoro dipendente mettessero al primo posto la programmazione socioeconomica e - a fronte di quella - la contribuzione che dovrebbe arrivare, sia in termini finanziari, che di coinvolgimento, dai privati. Invece, come negli anni scorsi, ci si ferma a ottenere la minuzia per poi rinnovarla l’anno dopo. La sola Confindustria seppure quasi timidamente mette al centro il Pnrr, che avrebbe bisogno di un allungamento, mentre su costo energia, resta irrisolta la programmazione reale sul nucleare, che va detto, anche nella Iper ambientalista Spagna, è in uso. Solo una programmazione proposta dal Governo e condivisa dalle rappresentanze del mondo economico, può rilanciare la crescita e stabilizzarla a valori non inferiori all’inflazione, e solo una pressione delle stesse rappresentanze sul Governo può ottenerne l’inserimento prioritario in agenda.