Lo spread tra Btp e Bund tedeschi biennali si restringe: ulteriormente. Segnale evidente della fiducia sul debito italiano da parte degli investitori.
Quando si parla di differenziale tra spread Btp-Bund, l’attenzione dei media si concentra quasi sempre sulla scadenza a 10 anni, reputata tradizionalmente il termometro principale della fiducia dei mercati verso l’Italia. È la cosiddetta “parte lunga” della curva dei tassi, spiega una analisi dell’agenzia finanziaria Bloomberg. Ma conti alla mano anche la “parte corta” della curva, proprio quella dei titoli a 2 anni, merita attenzione. Si tratta infatti di scadenze molto utilizzate dalle tesorerie di banche e imprese per la gestione della liquidità a breve termine, con volumi di scambio sempre elevati. E non a caso su questa scadenza ravvicinata si assiste ad un cambio di atteggiamento significativo. Infatti lo spread tra Btp e Bund a due anni si è notevolmente assottigliato rispetto ai livelli registrati nel 2022, anno elettorale peril nostro Paese che il 22 ottobre portò al giuramento del primo governo Meloni. Allora l’andamento oscillava tra 60 e 100 punti base, con picchi superiori ai 100 punti durante la campagna elettorale di settembre.
Oggi, il differenziale si è compresso intorno ai 20 punti base, segnalando una maggiore fiducia dei mercati nella stabilità finanziaria italiana e una percezione del rischio Paese più contenuta anche sul breve termine. Ma c’è dell’altro. Andando a frugare tra gli andamenti decennati di ieri salta fuori che «lo spread tra Btp decennali e omologhi Bund tedeschi mercoledì ha chiuso in calo a 73 punti rispetto ai 74 dell’apertura. Il rendimento è sceso al 3,37%». Detta così sembra roba per gli addetti ai lavori. In verità gli italiani che pagano regolarmente le tasse dovrebbero tener d’occhio quotidianamente, l’andamento del differenziale decennale tra i titoli di Stato italiani e quelli tedeschi. Ma con il secondo debito pubblico più imponente a livello mondiale (dopo il Giappone che però ancora “batte moneta” e quindi fa storia a parte), l’Italia è costretta a trascinare una zavorra finanzia500 ria di interessi. Che ammontano alla ragguardevole cifra di 80 miliardi l’anno. Immaginate cosa si potrebbe fare per scuole, ospedali, famiglie e infrastrutture, potendo utilizzare anche solo la metà di questo tesoretto annuo che invece serve ad attirare investitori e pagare i relativi interessi sui titoli di Stato.
Lo scorso agosto il debito pubblico è aumentato di 25,4 miliardi rispetto a luglio: in tutto 3.082,2 miliardi. Secondo le tradizionali statistiche mensili della Banca d’Italia sul fabbisogno e debito salta fuori che il Tesoro ha messo “fieno in cascina”. Si tratta di un record (negativo) in termini assoluti. L’incremento è dovuto all’aumento delle disponibilità liquide del Tesoro (da 25,3 miliardi a 72,1) e all’effetto complessivo di scarti e premi all’emissione e al rimborso, della rivalutazione dei titoli indicizzati all’inflazione e della variazione dei tassi di cambio (0,7 miliardi), solo in minima parte compensati dall’avanzo di cassa (0,6 miliardi).
Le prospettive a breve sono altrettanto incoraggianti. Almeno stando a quanto ipotizzano le grandi case d’affari.
Barclays e Goldman Sachs, nelle ultime settimane, hanno diffuso valutazioni positive proprio sui nostri Btp. Barclays ha indicato la possibilità di una discesa dello spread fino a 70 punti base, mentre Goldman ha sottolineato che tutti gli episodi che hanno portato ad un allargamento degli spread negli ultimi 10 anni sono stati causati da instabilità politica e tale rischio attualmente sembra basso in Italia. Insomma, secondo l’analisi a lungo termine delle principali banche d’affari il governo Meloni risulta l’unico esecutivo italiano degli ultimi 20 anni ad aver guadagnato in popolarità nei 30 mesi successivi al suo insediamento. «Prevediamo che questa condizione si manterrà almeno fino al prossimo anno, data l’assenza di catalizzatori politici rilevanti», scandiscono gli analisti della casa d’affari Usa.
Secondo le stime di Neuberger Berman- società di gestione patrimoniale indipendente, privata e interamente posseduta dai suoi dipendenti, fondata nel 1939 che oggi gestisce 508 miliardi di dollari in azioni, obbligazioni, di private market, real estate e hedge fund per clienti istituzionali e investitori privati a livello globale - quando il governo Meloni si insediò il timore diffuso era che l’esecutivo di centro -destra non rispettasse i paletti di Bruxelles. Timori sfumati sotto la gestione di Giancarlo Giorgetti. E infatti il deficit italiano è sceso. Addirittura meglio delle previsioni: dal 3,4% del 2024 fino al la per un ritorno sotto il 3% stimato per il 2026. Parallelamente l’Italia lo scorso anno è stato il primo paese a tornare in avanzo primario post co vid. «Pochi Paesi mostrano una trasformazione più netta dell’Italia» sottolinea una analisi sempre di Bloomberg dedicato ai paesi della periferia Ue.