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Angela Merkel, tutte le teste tagliate dalla Cancelliera

di Andrea Tempestini domenica 31 agosto 2014

3' di lettura

Per chi occupa posizioni di governo nei Paesi in recessione, opporsi alle politiche di austerità decise a Bruxelles e Berlino rischia di trasformarsi in un boomerang personale e politico. Con l'uscita di scena del Ministro francese dell'economia, il cinquantaduenne socialista Arnaud Montebourg e del Ministro austriaco delle finanze, Michael Spindelegger, se ne vanno altri due paladini del rilassamento fiscale. Se li si mette in fila uno dietro all'altro, pare quasi che i no-austerity siano stati tutti bersagli più o meno inconsapevoli della Cancelliera tedesca, Angela Merkel. Formalmente usciti di scena attraverso procedure democratiche, le vittime politiche dell’austerità recano sostanzialmente tutte un marchio di siluramento teutonico. ROMA E MADRID Dopo quattro anni dall’inizio della crisi dei debiti sovrani, sono caduti i governi dell’italiano Silvio Berlusconi, dello spagnolo José Luis Rodriguez Zapatero e del greco George Papandreou. Nel primo caso sono abbondate le ricostruzioni giornalistiche, alimentate dalle rivelazioni di Alan Friedman e dell’ex-Ministro del Tesoro americano, Timothy Geithner, secondo le quali il Quirinale avrebbe concordato con Germania ed UE la sostituzione di Silvio Berlusconi con il senatore Mario Monti. Anche nel caso spagnolo, il ruolo giocato dalla Cancelliera tedesca pare essere stato determinante per portare alla fine dell’esperienza di governo socialista. In un libro pubblicato di recente, l’ex-premier spagnolo Zapatero racconta che la signora Merkel lo chiamò nell’autunno 2011 per invitarlo ad accettare il sostegno finanziario del Fondo monetario internazionale. Si trattava di un piano di cui il governo di Madrid non era mai stato informato prima. La Spagna avrebbe ricevuto circa 50 miliardi di aiuti, mentre altri 85 sarebbero andati all’Italia, una volta sostituito Berlusconi. Zapatero rifiutò decisamente. Il suo partito, guidato dall’erede Alfredo Perez Rubalcaba, perse poi le elezioni politiche del novembre 2011 contro il popolare Mariano Rajoy. Più complicata la situazione greca. L’attuale governo di Antonis Samaras, gradito a Berlino, si è insediato nel giugno 2012 dopo che le elezioni di maggio si erano concluse senza che nessun partito ottenesse la maggioranza assoluta. TRAGEDIA GRECA Più interessante è capire come si sia arrivati a liquidare l’esperienza di George Papandreou, dimessosi da Primo Ministro nel novembre 2011 e sostituito poi per sei mesi dal banchiere centrale, Lucas Papademos, appoggiato da una grande coalizione di socialisti e conservatori. Il 31 ottobre, Papandreou fece infatti una proposta che a molti governi europei apparve scandalosa e che probabilmente gli costò la poltrona: il referendum sulla permanenza della Grecia nella moneta unica. Appena quattro giorni dopo fu costretto a rinunciare all’organizzazione del referendum per l’opposizione di molti governi europei, tra cui quelli di Berlino e Parigi, che lo accusarono di voler soltanto prendere tempo in questo modo acuendo la crisi in corso. Tre giorni dopo Papandreou si dimise. Ma anche Samaras fu inizialmente difficilmente un soggetto difficile da addomesticare, come ha raccontato a maggio Peter Spiegel sul Financial Times. Ci vollero settimane di negoziati, condotti in prima persona anche da José-Manuel Barroso, per convincere il premier greco che non era il momento per chiedere una modifica delle condizioni poste dalla Germania. Infine, anche nella alquanto convulsa crisi cipriota della primavera del 2013, Berlino ha mietuto qualche vittima eccellente. Dopo aver concordato i termini del cd. bail-in e aver condotto negoziati con la Troika, il 2 aprile 2013 il Ministro delle Finanze, Michael Sarris, rassegnò le proprie dimissioni nelle mani del Presidente, Nicos Anastasiades. È probabile che ad aver influito sulle scelte di Sarris non vi siano stati soltanto i termini piuttosto pesanti dell’accordo di risanamento del Paese, ma anche il fatto che Sarris era stato al vertice di una delle banche più colpite dalla crisi, la Laiki Bank, fino all’anno prima. ANCHE IN PATRIA In generale, comunque, i cambiamenti nell’architettura comunitaria sono andati di pari passo con una progressiva sostituzione di “personale” sgradito a chi era impegnato nell’aggiustamento di quell’architettura. La signora Merkel è, come ormai noto, un leader molto pragmatico, che usa la tattica e non la strategia e considera i principi come un impaccio. Chiunque si sia trovato sulla sua strada in questi anni e abbia cercato di interromperne l’ascesa o alterarne i piani si è bruciato. Non solo all’estero, ma anche in patria. Una lunga schiera di colonnelli democristiani, sia a livello federale, sia nei Länder, sono usciti di scena perché avevano ormai perso la sua fiducia o perché non erano più utili per il raggiungimento dei suoi obiettivi politici. Persino alleati che la stampa europea non aveva esitato a definire di ferro, come Nicolas Sarkozy, sono stati abbandonati e lasciati senza sostegno a pochi giorni dalle elezioni. di Giovanni Boggero

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