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L'Europa accusa Facebook di evasione fiscale

Nel mirino le operazioni alle isola Cayman
di Andrea Tempestini domenica 30 dicembre 2012

2' di lettura

  di Alessandro Carlini Continua la caccia del fisco ai colossi tecnologici che fanno di tutto per "salvare" i loro conti. L’ultimo caso riguarda il social network Facebook, che, secondo il Sunday Times, avrebbe fatto transitare i suoi profitti attraverso una serie di società, pur di non pagare le tasse nel Regno Unito e in altri Paesi europei. Ben 540 milioni di euro sarebbero prima passati per Facebook Ireland, per poi venire girati a una sussidiaria delle isole Cayman. Queste astute mosse da James Bond della finanza hanno un nome, anche perchè sono una pratica usata da diverse multinazionali. Si chiamano “double irish”, e usano per l’appunto Dublino come tramite per i paradisi offshore. Sfruttando questi e altri stratagemmi, la società americana, nella sua sede irlandese, ha pagato solo 3,23 milioni di euro in tasse l'anno scorso, sebbene le sue entrate all'estero siano quadruplicate da 229 milioni a oltre un miliardo di euro.  Il social network guadagna soprattutto tramite le pubblicità, che vengono però fatturate in Irlanda anche se in realtà sono state vendute nel Regno Unito. Questa situazione comincia a innervosire i governanti britannici. Il cancelliere dello Scacchiere, George Osborne, nella sua mini-manovra di autunno è stato molto chiaro in proposito: «Questa e altre grandi società (Google, Amazon, Starbucks, ndr) devono pagare la giusta percentuale di tasse». Per l’opposizione laburista la misura è colma. Il deputato John Mann ha parlato di comportamento del tutto immorale. «Quelli di Facebook beneficiano tantissimo delle infrastrutture internet del nostro Paese ma non fanno nulla per finanziarle. È come guidare un’automobile e non pagare le tasse». In Gran Bretagna, ad esempio, Facebook, sempre per l'anno scorso, ha pagato tasse per sole 238 mila sterline, a fronte di entrate pari a 175 milioni di pound. Si tratta di una scandalosa aliquota dell’1%. Fino ad ora però pochi hanno ceduto alle pressioni della politica britannica. Il colosso delle caffetterie Starbucks si è offerto di pagare 20 milioni di sterline al fisco di sua maestà nei prossimi due anni. L’azienda era finita sotto i riflettori dei media dopo che era emerso che, nonostante i 3 miliardi di sterline di introiti generati dal 1998, aveva pagato meno dell'1% in tasse sulle imprese. In confronto, la catena rivale Costa ha versato quest'anno il 31% dei suoi profitti. Il “pezzo grosso” Google, invece, non cede di un millimetro.  Il presidente Eric Schmidt si è detto «molto fiero» della struttura fiscale della sua compagnia e ha detto che si tratta semplicemente di «capitalismo». Ma questi gruppi sono nel mirino del fisco anche in Italia – coi controlli della Guardia di Finanza negli uffici di Facebook e Google - e non avranno di certo vita facile neanche nella Francia di François Hollande, il presidente delle supertasse.  

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